Israele ha annunciato il totale ritiro dalla Striscia Gaza. Le forze di terra, come previsto dalla tregua in corso, hanno completato la distruzione dei tunnel scavati dalla guerriglia palestinese e si sono ridispiegate oltre confine su posizioni difensive. In un mese, stando a Tel Aviv, sono stati uccisi 900 “operativi” di Hamas, jihad e fazioni terroristiche e colpiti 4.800 obiettivi, con oltre 1.860 morti, tra cui circa 400 bambini, secondo l’Unicef. Oggi l’alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha nuovamente chiesto a Israele che si assuma la responsabilità per “le crescenti prove di crimini di guerra a Gaza”. Ma ora le speranze sono sui colloqui previsti al Cairo e sulla proposta egiziana cui sembra non ci siano alternative. Un’opportunità reale, dicono gli Stati Uniti, che stanziano altri 225 milioni di dollari per il sistema antimissile d’Israele e incitano Hamas ad un impegno serio e intanto.
Abbiamo chiesto al custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, con quali speranze la comunità vive queste ore di tregua:
R. – Noi abbiamo l’impressione che ormai il peggio – mi riferisco alla violenza – sia passato e che si vada verso una tregua, non dico permanente, ma stabile per molto tempo. La situazione rimane molto tesa, perché questa violenza non è soltanto fisica, ma ha influito molto anche nelle relazioni tra israeliani e palestinesi. Ci auguriamo che, passata questa ondata terribile, si possa poco alla volta ricominciare a ritessere nuovamente le fila di queste relazioni, cosa che comunque resta necessaria e imprescindibile per entrambi.
D. – Una smilitarizzazione della Striscia di Gaza da una parte e dall’altra e la serenità per un popolo che non vuole più tunnel e aggressioni: è questa la realtà geopolitica cui andiamo incontro? Qual è la sua sensazione?
R. – La mia sensazione è che non ci saranno grossi cambiamenti. Non credo che la Striscia di Gaza sarà improvvisamente smilitarizzata. Penso che questa situazione resterà ambigua come lo è ora, per ancora molto tempo.
D. – L’impatto catastrofico, a livello di vite umane e di feriti, dall’una e dall’altra parte – certo con un’ampia sproporzione – rimarrà una ferita. Come si può superare e andare avanti?
R. – Innanzitutto, bisogna pregare. Poi, altra cosa, dobbiamo lavorare nella società. Proprio la Lettura di oggi, del Profeta Geremia, parla di una ferita inguaribile, che però il Signore ha sanato. Ecco, noi dobbiamo partire da lì. Anche le cose che sembrano impossibili, sono possibili se le vogliamo fare.
D. – Tutti noi ricordiamo il suo cammino a Gerusalemme a fianco del Papa durante la visita del maggio scorso. Che cosa ha insegnato alla vostra terra e al mondo, in questa occasione, quella presenza?
R. – lI ricordo di quella visita è ancora molto fresco, perché sono passati solo pochi mesi e ci dice che è possibile dire la verità, nel rispetto l’uno dell’altro. E’ possibile parlarsi, senza negarsi, è possibile, anche come religiosi, continuare a dialogare l’uno con l’altro, basta volerlo fare. Ci ha dimostrato che, se si vuole, è possibile.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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