Introdurre un’educazione sessuale che “decostruisca” e “trasgredisca” i modelli di genere dominanti, promuova transessualismo, transgenderismo, intersessualismo sui banchi di scuola già nei primi 4 anni di vita per “liberare da stereotipi e pregiudizi”, da un “approccio dicotomico” alla sessualità. Favorire una didattica che adotti libri di testo con un linguaggio non sessista che ad esempio sostituisca alle vocali “a” e “o”, identificanti il maschile e femminile, un asterisco. Sono solo alcune delle proposte emerse durante la due giorni “Educare alle differenze” promossa per il mondo della scuola, con il patrocinio di Roma Capitale, da un’associazione Lgbt, la stessa cui il Comune ha assegnato tra gennaio e maggio scorsi la gestione del corso di formazione per 200 educatrici di nido e scuole dell’infanzia “La scuola fa la differenza”. A far scattare la denuncia del Comitato Articolo 26 la segnalazione di alcuni docenti partecipanti al convegno di inizio anno scolastico:
R. – Sono stata male dopo la partecipazione a questo convegno, come docente e come madre. Ero andata per comprendere che cosa significasse educare alle differenze… Io mi sono accorta che ero in un contesto per nulla scientifico! Si è parlato di dare un’educazione sessuale nelle scuole, senza coinvolgere le famiglie. No, io non ci sto! E’ stato chiesto ai docenti di insegnare che la famiglia che si basa sul matrimonio tra un uomo e donna non è un modello e non si può offrire come norma … No! Io, come tante docenti, a dire le bugie ai nostri alunni non siamo disposte!
D. – Se la causa è buona – ovvero la lotta al bullismo omofobico, l’educazione alle differenze – però, va cambiato l’approccio: ci vuole un’altra modalità, sta dicendo?
R. – Certo! Io credo che tutte le persone che hanno partecipato a questo convegno come me siano rimaste sorprese dal fatto che le centinaia di associazioni Lgbt come l’Arcigay, il Gay Center, la Fenice Gay, non hanno competenze psicopedagogiche per affermare che non esiste più il dato di essere maschi e femmine: si tratta di un dato fondamentale per l’Io del bambino in tenera età. Questo non è condivisibile! In questo convegno è stata richiesta anche l’attuazione di una norma della legge 219 che chiede una formazione obbligatoria all’educazione di genere agli insegnanti. Bene, io chiedo alla ministra di pronunciarsi su questo: perché se si intende quello che abbiamo ascoltato durante il convegno per educazione di genere, io mi candido ad essere la prima insegnante obiettrice di coscienza! Riaffermo che nella mia classe, come in tutte le scuole di Italia, tutti i giorni si educa e si deve educare contro il bullismo. E chiedo scusa, ma voglio dirlo a tutti i giovani che fossero in ascolto: noi dobbiamo accogliere tutte le persone. Ma da qui a fare un indottrinamento, senza coinvolgere le famiglie, senza un dibattito scientifico e culturale… chi siamo noi per far entrare queste sperimentazioni con questa superficialità?
Tra gli obbiettivi della “strategia” c’è la promozione di un’editoria pro Lgbt nelle scuole, a fronte della presa di coscienza da parte della Chiesa e delle famiglie. E ancora: creare tra i ragazzi di 14-18 anni lo “spazio necessario per identificazioni “inter” e “trangender” e “promuovere leggi sull’educazione alle differenze”. Non solo: le associazioni filo-Lgbt si propongono di “fare pressione presso le istituzioni” perché siano inseriti gli studi di genere nei criteri per accedere all’abilitazione all’insegnamento. Questa la motivazione: nella scuola, oggi, l’identità umana è presentata in modo androcentrico e razzista.
Il servizio è di Paolo Ondarza per la Radio Vaticana
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