Il fuoco dato nella notte scorsa da alcuni coloni israeliani al primo piano di una moschea vicino Ramallah riaccende le tensioni e fa temere che si sia vicini ad una terza intifada. “Hanno scritto parolacce contro l’islam, contro i musulmani, minacce”, riferisce Don Aziz Halaweh parroco a Taybeh, villaggio interamente cristiano vicino Ramallah. “I coloni attaccano le macchine, le case, una volta – il mese scorso – hanno tagliato degli ulivi. Purtroppo sono un pericolo per il processo di pace. Sono azioni che innescano inevitabilmente reazioni nei musulmani e vanificano gli sforzi per creare un clima discreto di convivenza”.
“Viviamo un clima di altissima provocazione che va avanti già da un paio di mesi”, spiega Don Peter Madros, docente di Sacra Scrittura e Islamologia a Gerusalemme. “Attivisti ebrei, della destra israeliana fanno incursioni nella moschea al-Aqsa che turbano i musulmani. Il primo ministro tacitamente approva e mantiene lo statu quo, stretto anche da un conflitto interno alla destra tra due posizioni difficilmente conciliabili del suo partito”.
Il giornalista Aldo Baquis, dalla sede Ansa a tel Aviv, analizza la situazione alla spianata delle moschee che definisce molto complessa. “La cosa preoccupante, allarmante è che quelle che erano negli anni passati attività di pochi estremisti di destra, un centinaio al massimo, ora invece sono sostenute da personaggi politici istituzionali dell’establishment politico israeliano. Dall’altra parte, ci sono esponenti palestinesi che soffiano sul fuoco, quelli per esempio del movimento islamico in Israele che hanno detto che un giorno Gerusalemme sarà la capitale di un califfato che controllerà il mondo intero. Sono dichiarazioni che agitano gli animi. Hamas dal canto suo ha fatto della moschea al-Aqsa un luogo di attrito costante contro Israele inviando giovani attivisti con sassi e bottiglie incediarie. La polizia non può ignorare e reagisce. I proclami duri di Abbas dalla Muqada (“…la presenza di ebrei contamina un luogo sacro all’Islam”) e quelli altrettanto forti di Netanyahu (…”se lo Stato israeliano non vi va bene potete trasferirvi in massa in Cisgiordania o a Gaza e nessuno vi fermerà”) non inducono certo alla calma”.
“Noi preti palestinesi non possiamo accedere al patriarcato latino di Gerusalemme, non possiamo. Fino a quando, ci chiediamo. Israele fa solo promesse. Noi che viviamo qui la realtà di tutti i giorni – conclude amaro Don Halaweh – non abbiamo tanta speranza per il futuro perché vediamo la nostra terra piena di insediamenti illegittimi. Ma abbiamo fiducia nel Signore. Là risiede la nostra speranza”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana