Pubblichiamo parte della prefazione di Giacomo Poretti, attore e scrittore, al testo di Papa Francesco “Un padre e un custode”. Catechesi su San Giuseppe (Libreria Editrice Vaticana, disponibile da questa settimana). Il testo raccoglie le dodici riflessioni che il Pontefice ha tenuto dal 17 novembre dello scorso anno al 16 febbraio scorso e dedicate al padre putativo di Gesù. É nota la profonda devozione che Bergoglio ha sempre avuto verso lo sposo di Gesù: davanti alla sua stanza tiene una statua di Giuseppe dormiente al quale affida intenzioni e richieste di preghiera che gli giungono da tutto il mondo.
Nel testo ora pubblicato sono raccolte le varie meditazioni nelle quali Francesco ha delineato la figura di Giuseppe nelle sue principali caratteristiche e dimensioni: l’uomo giusto e sposo di Maria, uomo del silenzio, il migrante perseguitato e coraggioso, il padre putativo di Gesù, … Proponiamo qui la testimonianza di Giacomo Poretti come approfondimento nel giorno della festa di san Giuseppe lavoratore.
Ho conosciuto san Giuseppe che avevo cinque anni. II mio papà è arrivato con lo scatolone dalla cantina, la mamma ha cominciato a urlare dicendo che per prima cosa bisognava ricoprire con la carta di giornale il mobile dove si sarebbe fatto il presepe.
Messo in salvo il mobile, il papà ha iniziato: le prime cose erano le montagne, le quali magicamente comparivano dopo aver avvolto con l’apposita carta, verde e marrone, le scatole delle scarpe; le dune del deserto il papà le faceva con la sabbia del gatto, il laghetto con il vetro dello specchio da barba; poi c’è stato l’anno che hanno inventato il “domopak” e finalmente siamo riusciti a fare anche le cascate: avevamo la parete tutta ricoperta di alluminio e il prete quando è venuto a benedire ha chiesto cos’era, io ho risposto «le cascate del Niagara».
Nel testo di Poretti che introduce le riflessioni papali
l’importanza del presepe per la fede familiaree il ricordo affettuoso del papà
che per realizzare la Nativitàusava le scatole della scarpe
Il mattino successivo il papà cercava le sue scarpe per andare al lavoro e si accorgeva che le aveva avvolte dentro la montagna del presepe, allora amaramente si rendeva conto che gli toccava andare in giro fino all’Epifania con i sandali aperti dell’estate: forse è per quel motivo che al mio papà durante le feste natalizie veniva spesso il raffreddore.
Poi era il momento di andare a staccare il muschio che cresceva sulla corteccia dell’albero del vicino (all’epoca esistevano ancora gli alberi e il muschio non lo vendevano ancora in cartoleria), e lo si stendeva attorno al paesello arroccato sulla montagna; il mio papà tendeva a costruirlo con quello che aveva e inevitabilmente il risultato era un insieme di epoche e stili diversi: una baita, un castelletto, una villetta a schiera, un grattacielo fatto con il “Lego”.
Finalmente gli animali: mettevamo galline, tacchini e pecorelle e al massimo uno o due cammelli: io volevo mettere i dinosauri e per questo motivo litigavo con mia nonna che diceva che erano estinti e io urlavo che non era vero, e infine arrivava la grotta. Le statuine il papà, e la mamma, le svolgevano dalla carta di giornale dove erano state avvolte per tutto l’anno: il bue, l’asino, e lì per la prima volta ho visto san Giuseppe con la barba e la sua faccia triste. Io chiedevo chi fosse e la mamma, omettendo imbarazzanti spiegazioni, rispondeva: «Il papà di Gesù bambino».
Poi mi mostrava la statuina della Madonna e mi diceva: «E questa è la sua mamma!».
La mia di mamma invece avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, poi si guardava negli occhi con il papà e decideva che non era ancora il caso di avventurarsi nella storia dell’Immacolata Concezione, l’avrebbe fatto fra due o tre presepi.
Nell’ultimo pacchetto di carta c’era Gesù bambino che aveva indosso solo un panno che gli lasciava le braccia e le gambe nude; io avrei voluto sistemarlo subito nella mangiatoia, ma mamma e papà tentavano di spiegarmi che nasceva tra venti giorni, a Natale; io replicavo che «se era già lì non aveva bisogno di nascere ».
Alla fine si arrivava a un compromesso e la statuina di Gesù bambino sarebbe rimasta al caldo nel cassetto delle calze fino al giorno di Natale. Siccome quello che c’era da dire in quel momento era delicato e importante, prendeva la parola il papà: «Gesù bambino… è il figlio di Dio……!».
«…figlio di Dio ? Papi, ma sei fuori…? Ma non era san Giuseppe il suo papà…?».
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