Circa il 70% delle donne nel mondo ha subito violenza almeno una volta nel corso della propria vita. A ricordarlo è il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione dell’odierna Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Sull’importanza di questa iniziativa Cecilia Sabelli della Radio Vaticana ha intervistato Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea, impegnata in progetti in tutto il mondo per la difesa dei diritti umani e delle donne:
R. – Queste donne non vengono considerate come accesso alla giustizia, come accesso ai diritti; di loro si abusa fisicamente, psicologicamente e sessualmente. Questo vuol dire proprio che è la considerazione dell’essere umano-donna che non è al pari dell’essere umano-uomo, ed è una mentalità che si trasmette per generazioni e che continua ad esserci. Quindi, è assolutamente fondamentale, in questo momento, in tutto il mondo, averne una coscienza per potere in qualche modo attuare un cambiamento culturale.
D. – A quali Paesi in particolare ci si riferisce quando si parla del problema della violenza contro le donne?
R. – Parliamo di Afghanistan, dove la giustizia non è assolutamente paritaria tra uomini e donne, soprattutto perché ci sono sistemi di giustizia informali che non si attengono ai diritti umani come principio, e che quindi poi non danno la possibilità, effettivamente, di appellarsi a una parità di diritti. Penso all’India, dove in alcune comunità i matrimoni forzati sono all’ordine del giorno. Oppure penso ai casi di aborto selettivo dei feti femminili, che è assolutamente vietato per legge ma comunemente eseguito in moltissime regioni, sempre dell’India; oppure, mi viene in mente l’Italia: come Fondazione Pangea, abbiamo moltissime richieste di donne italiane che hanno difficoltà a denunciare, che a volte non vengono prese sul serio rispetto alle accuse che presentano, oppure non arrivano al processo perché vengono scoraggiate. Qui le donne troppo spesso non arrivano nemmeno a ottenere, quindi, il giusto riconoscimento di quello che hanno subito e quindi la reale punizione dell’uomo che ha commesso l’abuso.
D. – La Fondazione Pangea come interviene in soccorso delle donne vittime di violenza? Ricorda un caso particolare in cui siete riusciti a cambiare la vita di una di queste donne?
R. – A seconda di dove si è, le modalità di lavoro sono diverse. Per esempio, in Italia ci sono i Centri antiviolenza; in Afghanistan, invece, ce ne sono pochissimi: non si riesce a garantire questo percorso a molte donne. Il nostro modo, in generale, consiste nell’aiutarle ad accedere alla giustizia e a recuperare le relazioni familiari, perchè non si ritrovino più nella solitudine. In particolare ricordo Samìa. Questa ragazza è riuscita a rinascere attraverso un percorso interno alla sua famiglia, e poi è diventata una piccola imprenditrice: grazie ad un prestito del microcredito di Pangea, è diventata una fornaia che oggi mantiene la sua famiglia di cinque persone, e il marito non è più un uomo violento.