Società \ Sociale – “25 anni di progressi per l’infanzia e l’adolescenza” è il rapporto che l’Unicef ha lanciato nell’odierna Giornata internazionale per i diritti dei più piccoli ed indifesi e che quest’anno coincide con il 25.mo anniversario dell’approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Una sfida iniziata 25 anni fa quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la più ratificata al mondo: sono 194, infatti, gli “Stati parte” impegnati a tutelare i piccoli del pianeta. Il rapporto presentato oggi evidenzia i molti progressi realizzati in questo quarto di secolo: il fronte della mortalità infantile, sotto i 5 anni, dal 1990 si è quasi dimezzato, passando dai 12,6 milioni, ai 6,3 milioni del 2013. La maggior parte dei decessi – si legge – avviene per polmonite, diarrea e malaria, mentre quasi la metà di tutti i decessi, sotto i cinque anni, ha come concausa la malnutrizione. L’allarme e orrore rimane perché sono ancora 17mila i bambini che muoiono ogni giorno nel mondo. Secondo il rapporto migliorano globalmente tutti gli indici ma istruzione, sfruttamento del lavoro minorile e povertà sono piaghe ancora diffuse a livello planetario. Il commento di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:
R. – Tanti passi sono stati fatti in termini di riduzione della mortalità infantile. Erano più di 12 milioni i bambini vittime nel ’90 e oggi siamo arrivati a 6,3 milioni. Certo sono ancora tanti. La mortalità infantile, specie nei Paesi dell’Africa e nelle zone a Sud dell’Asia, deve essere ancora sconfitta. Poi, c’è il grande tema dell’istruzione. Purtroppo, ci sono 30 milioni di bambini che a causa di questi grandi conflitti internazionali, che ancora insanguinano molte zone – e penso alla Siria all’Iraq ma non solo, i conflitti in Centrafrica, in Sudan … -, non possono andare a scuola. Altro tema è il lavoro minorile, tornato prepotentemente sulla scena: ci sono ancora 168 milioni di piccoli che purtroppo sono impiegati in qualsiasi tipo di lavori. Per fortuna però questo numero è diminuito di un terzo dal 2000. Poi, una parola la voglio dire per tutti quei bambini che vengono impiegati come soldati. Dopo i fatti dell’Iraq, dell’Is, della Siria, non dobbiamo dimenticare questi circa 250 mila piccoli che vengono arruolati e per i quali purtroppo il destino non si sa mai cosa riserva. Il Medio Oriente è una zona ancora calda per quanto riguarda i conflitti. Il conflitto siriano dura da 4 anni. Per quanto riguarda invece i temi della mortalità e della malnutrizione, l’Africa subsahariana e il Sahel restano zone ancora piuttosto critiche, mentre il Sudest asiatico registra ancora alti tassi di sfruttamento di violenza nei confronti di minori. Se posso dire, la violenza in particolar modo nei confronti delle bambine, è il grande tema sul quale bisogna concentrarsi nei prossimi decenni. Quello che succede in India, dove di fatto un bambino su tre viene stuprato, dove le bambine vivono in condizioni di terrore quotidiano, ecco, rappresenta davvero la grande sfida che ci attende nei prossimi 25 anni. Un piccolo focus riguarda il Sud Sudan e il Centrafrica dove purtroppo sono concentrati, anche qui, conflitti ma soprattutto altissimi numeri di sfollati: ci sono un milione di persone in entrambi i Paesi a causa di guerre civile e quindi purtroppo molti esposti a rischi di fame e di povertà assoluta.
D. – Qual è la condizione invece che si registra in Europa e nelle Americhe?
R. – La situazione dell’Europa e delle Americhe non è una situazione limpida. Noi abbiamo lanciato nel rapporto sulla situazione dei Paesi ricchi che Paesi come l’Italia, la Grecia, l’Estonia si trovano agli ultimi posti per quanto riguarda il benessere dei bambini. Do un piccolo dato: tra il 16 e il 17 per cento dei bambini italiani vive in condizioni di povertà relativa. Questo vuol dire che esistono bambini che non fanno un pasto al giorno, famiglie che non hanno una stanza dove far studiare i figli, famiglie che purtroppo non riescono a mandare i propri figli a scuola perché le condizioni economiche sono davvero difficili. Insomma per quanto riguarda i Paesi del Mediterraneo, oppure in alcune zone anche degli Stati Uniti esistono grandi problematiche che riguardano la povertà.
D. – Violenza, disagio e povertà, anche in Sud America?
R. – Anche in Sud America, anche se queste, sono zone dove accanto alla povertà c’è un problema di grandissimo sfruttamento di lavoro minorile. Però diciamo che il tema della violenza è un tema che riguarda tutti i Paesi.
D. – Qual è la sfida che esce da questa giornata?
R. – L’utilizzo delle tecnologie, l’utilizzo delle innovazione, l’utilizzo dei social network, potrebbe essere la grande sfida di progresso, che non è negativa ma che va presa in positivo per poter riuscire ad arrivare a raggiungere i cosiddetti “irraggiungibili”. Noi possiamo arrivare a salvare tante vite umane grazie alla capacità di inventare cose nuove, di sfruttare al meglio le tecnologie in positivo, di utilizzare spesso le idee che nei Paesi dove ci sono maggiori problemi, proprio i giovani dei Paesi stessi hanno inventato e stanno inventando. Ne cito una su tutte, molto bella e che mi ha colpito: in Bangladesh, un gruppo di giovani quindicenni ha proposto al governo di costruire delle scuole sopra delle piccole case mobili, per farle galleggiare sui dei fiumi durante le alluvioni, quando a scuola non ci si può andare, per riuscire a continuare a studiare. Questo è molto importante non solo perché l’istruzione è uno dei cardini della convenzione Onu, ma perché portare un bambino a scuola vuol dire salvargli la vita. Fonte: radiovaticana.va