“Solidali per la vita”. Questo il tema del Messaggio del Consiglio permanente della Cei per la 37ª Giornata nazionale per la vita, che si celebrerà il 1° febbraio 2015, diffuso ieri, giovedì 6 novembre. «Quando una famiglia si apre ad accogliere una nuova creatura, sperimenta nella carne del proprio figlio “la forza rivoluzionaria della tenerezza” e in quella casa risplende un bagliore nuovo non solo per la famiglia, ma per l’intera società», scrivono i vescovi, notando con preoccupazione che «il preoccupante declino demografico che stiamo vivendo è segno che soffriamo l’eclissi di questa luce». La denatalità che colpisce l’Italia, rilevano, «avrà effetti devastanti sul futuro: i bambini che nascono oggi, sempre meno, si ritroveranno ad essere come la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti».
Di fronte a questi scenari, «incalzante diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche a quali figli lasceremo il mondo?». Tra le cause di questa situazione, nel Messaggio si individua «il triste fenomeno dell’aborto», che ogni anno impedisce «a oltre centomila esseri umani di vedere la luce e di portare un prezioso contributo all’Italia». Né, si legge ancora, si può dimenticare che «la stessa prassi della fecondazione artificiale, mentre persegue il diritto del figlio ad ogni costo, comporta nella sua metodica una notevole dispersione di ovuli fecondati, cioè di esseri umani, che non nasceranno mai».
In realtà, «il desiderio di avere un figlio è nobile e grande; è come un lievito che fa fermentare la nostra società, segnata dalla “cultura del benessere che ci anestetizza” e dalla crisi economica che pare non finire. Il nostro Paese non può lasciarsi rubare la fecondità». Assecondare questo desiderio, «che è vivo in tanti uomini e donne», secondo i presuli è «un investimento necessario per il futuro». Affinché però questo desiderio non si trasformi in pretesa «occorre aprire il cuore anche ai bambini già nati e in stato di abbandono». Facilitando anzitutto i percorsi di adozione e di affido «che sono ancora oggi eccessivamente carichi di difficoltà per i costi, la burocrazia e, talvolta, non privi di amara solitudine». Spesso, sottolineano i vescovi, «sono coniugi che soffrono la sterilità biologica e che si preparano a divenire la famiglia di chi non ha famiglia, sperimentando “quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita”».
Nel Messaggio si suggeriscono poi, accanto a queste strade, anche «forme nuove e creative di generosità» attraverso le quali manifestare la propria solidarietà verso la vita. Come quella della «famiglia che adotta una famiglia»: percorsi di prossimità «nei quali una mamma che aspetta un bambino può trovare una famiglia, o un gruppo di famiglie, che si fanno carico di lei e del nascituro, evitando così il rischio dell’aborto al quale, anche suo malgrado, è orientata». Anche davanti ai nuovi flussi migratori, è una scelta che «costituisce una risposta efficace al grido che risuona sin dalla genesi dell’umanità: “dov’è tuo fratello?”. Grido troppo spesso soffocato, in quanto, come ammonisce Papa Francesco, “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell‘indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. Per i vescovi, «la fantasia dell’amore può farci uscire da questo vicolo cieco inaugurando un nuovo umanesimo: “Vivere fino in fondo ciò che è umano migliora il cristiano e feconda la città”. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita». Fonte: romasette.it
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