Se si potesse riavvolgere il nastro fino a qualche mese prima, qualche giorno prima, se si potesse tornare ad un viaggio in macchina di ritorno da qualche gita, padre e figlio, madre e figlia, insieme, a parlare del più e del meno, quale sarebbe il contenuto di questo “più e meno”? Sarebbe la droga? Mi chiedo cioè: in famiglia si parla di droga? al di là delle urla, delle minacce e delle proibizioni, voglio dire. Ripeto: si parla di droga in famiglia? Si va oltre gli stereotipi de “la droga fa male”, “ti spappola il cervello”, “se ti droghi, la prossima volta che ti faccio ri-uscire di casa sarà per passare dall’Inps a prendere la pensione?”.
Proviamo a pensare a ciò di cui si parla in famiglia e a ciò di cui si tace in famiglia. Quanto c’è voluto per far diventare il sesso un argomento non più tabù tra genitori e figli? Quanto c’è voluto per far diventare “il bere pesante” un altro argomento da trattare con i figli? Forse queste due morti così vicine possono aiutarci a sdoganare il discorso droga, ora, subito, al più presto.
Io non sto parlando del dialogo educativo intergenerazionale: quello da programma, diciamo. Quello che trovi nelle scuole e nelle pubblicità progresso. No. Io parlo del dialogo tra mamma Francesca e figlio Giulio, tra papà Arturo e figlia Aurora, tra tutti i papà Mario e i vari Pietro e Lucia che si sono salutati a Fiumicino perché si parte per la vacanza a Londra per imparare l’inglese o in stazione, al treno per la prima estate in campeggio con gli amici.
Nel dialogo normale, c’è anche l’eco di quello che ci siamo detti sulla droga? Quello di cui abbiamo parlato spesso nei mesi passati? C’è un dialogo sulla droga? Rendiamoci conto che la droga è dappertutto. Tutti si fanno le canne. Tutti.
Se parli con una ragazza che è abituata a parlare con la madre senza paura di ritorsioni o di restrizioni inconsulte di orari di uscita e di rientro, lei ti dirà che le canne se le fanno tutti. Quando si parla di droga, un genitore di oggi, uno che è stato ventenne negli anni 70 /80, quando pensa alla droga pensa all’eroina, al drogato di “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”, cioè a qualcosa di remoto, di lontano, per gente strana. Non pensa a suo figlio e agli amici di suo figlio che sono bravi ragazzi che conosce bene. E gli stessi ragazzi di oggi non si sentono drogati. “Una canna sola!” “Non sono mica un’accannata mamma”. “Papà, non avrei i risultati che ho a scuola se fossi un’accannata”. “Una sola canna mamma e basta”. Ma, tutto questo, è droga. Forse è il caso di imparare a parlare di droga. Di imparare a dire che se una canna non fa male, una pasticca ti spappola fegato e cervello. Una sola. Il problema è che non succede sempre. A volte sballi e basta. Come la cocaina. Una persona mi diceva che con la cocaina ti senti benissimo, come se tutte le tue facoltà, le tue buone facoltà, fossero al massimo della loro maturità e sviluppo. Solo che c’è un prezzo. Altissimo. Si paga in contanti. E la moneta corrente sono la salute e la vita. Noi lo sappiamo come ci si sente in gruppo dopo una canna? Lo sappiamo come ci si sente con la dose giusta di cocaina in corpo?
Sappiamo dire perché no, sempre no, a qualsiasi dose no, a qualsiasi droga no? E sappiamo parlarne coi nostri figli? Che vuol dire: sappiamo ascoltarli? Sono giovani ma non sono stupidi. Però non si sentono spacciatori, ma spacciano: vendono canne. Non si sentono drogati, ma lo sono anche se si fanno una canna ogni tanto. Una pasticca solo da chi conosco. Bisogna parlare perché i nostri figli credono di essere loro ad usare la droga, e invece no.
È la droga che usa loro. Vince sempre lei, anche se torni a casa salvo. Anche se conosci chi te la dà. Anche se tutti usano quella e non succede niente. Anche se è solo una canna. Anche se. Vince sempre lei.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
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