Credo che, come tutti noi, il prefetto di Perugia sente che il dramma della droga ci umilia e ci addolora; come tutti noi vorrebbe debellarlo alla radice; come tutti noi è costretto ad ammettere il fallimento di tante iniziative intraprese a riguardo. Nella conferenza stampa, che tanto sconcerto ha destato negli italiani, inizia col dire cose sensate, ma finisce – ahimè! – col proferire delle autentiche assurdità. “ Siamo in guerra – dice – contro chi spaccia e questa guerra la combatteremo con grande energia, noi delle forze di polizia e della magistratura … Ma lavoriamo pure sul piano sociale. Genitori, scuola, volontariato, parrocchie …” E fin qui tutto bene. Arriva ad affermare – e non succede sempre – che la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, nei giovani porta solo disorientamento, perché “sempre droghe sono”. Avrebbe dovuto continuare a insistere sul problema educativo e sulle scelte politiche a riguardo. Avrebbe dovuto avere parole di comprensione per i genitori ai quali, nell ‘ educazione dei figli, è lasciato sempre meno spazio. Invece – chissà perché – scivola sulla classica buccia di banana e comincia rotolare a capofitto. Il tonfo, alla fine della scala, sarà catastrofico. Inaspettatamente, infatti, se la prende con le mamme che, a suo dire, se non si accorgono che il figlio è drogato sono delle “fallite”. Non si rende conto della gaffe e, come un bulldozer, avanza arrivando a dire che meglio sarebbe per loro – provo imbarazzo a scriverlo – suicidarsi. Addirittura! Povere, care mamme. Provo a immaginare quanta inutile sofferenza abbiano recato loro queste incredibili affermazioni. Non basta il senso di colpa che portano dentro, non bastano le domande che le tormentano: “Perché? Dove abbiamo sbagliato?” Ma è poi vero che le mamme non si accorgono del il figlio che fa uso di stupefacenti? Generalizzare è sempre un madornale errore.
Ogni mamma è un mondo a sé, ogni figlio è un figlio unico da amare e da salvare. Non è vero che non si accorgono della trappola nella quale è caduto il figlio, nella stragrande maggioranza dei casi sanno benissimo le cose come vanno. Ma un conto è sapere, altra cosa è sapere che cosa fare; come e con quali mezzi intervenire. Il tossicodipendente, fin da quando ha inizio la sua disavventura, impara a mentire. Soprattutto ai genitori. Nega, se fosse possibile, anche l’ evidenza. La mamma intuisce, chiede, accusa; lui nega, urla, minaccia, giura. Anche alla mamma più intraprendente allora viene il dubbio. Ma perché continuare a parlare solo delle mamme? Ancora una volta sulla donna viene gettato il peso della croce; ancora una volta assurge a cirenea incompresa della famiglia, della società. La responsabilità dell’ educazione ricade su entrambi i genitori. Il più delle volte, la mamma non è una casalinga a tempo pieno. Esce la mattina per andare a lavorare fuori casa e ritorna la sera per riprendere a lavorare dentro casa. Il peso che porta è enorme, i sacrifici non si contano. Il prefetto sembra non conoscere bene la realtà della famiglia italiana. La frase con cui conclude la conferenza : “Se avessi un figlio lo prenderei a schiaffi …” lascia intendere che non ne ha. Di certo se dovesse averne uno che come tanti si è lasciato ammaliare dalla droga, ben presto si accorgerebbe che prenderlo a schiaffi serve a poco. Sono convinto, invece, che come tanti padri, anche il prefetto passerebbe notti insonni alla ricerca di una soluzione da trovare.
E si darebbe da fare, come tanti genitori, per salvarlo. Nelle parole del prefetto di Perugia si nota la stessa rabbia, figlia dell’ impotenza, che alberga in tutte le persone bi buona volontà nel vedere tanti giovani bruciare stupidamente gli anni più belli della loro unica esistenza, le conclusioni, però, avrebbero dovute essere ben altre. Invece la parola ha detto più del suo pensiero. Ne sono convinto. Non tutti sono abituati a parlare a braccio, non tutti sanno maneggiare con arte la parola. Di certo, l’ ha fatta proprio grossa. “Poni, Signore, una custodia alla mia bocca …”. Resta il fatto che la droga è un dramma irrisolto e per certi aspetti accantonato, il cui peso ricade soprattutto sulle famiglie del malcapitato. Dobbiamo fare di più. Tutti. Torniamone a parlare a mente serena. Per il bene dei nostri giovani e delle future generazioni. di Padre Maurizio PATRICIELLO
Questo è un argomento che mi sta molto a cuore perché 4 anni fa mi ha strappato un figlio di 29 anni, bello come il sole e buono e generoso come non mai….sulla maledetta droga c’è come una cortina di silenzio-assenso, tanto è vero che persino chi dovrebbe governarci sta disquisendo tra droghe leggere o pesanti per renderle legali….vorrei che solo per un secondo provassero il calvario che ho vissuto per ben dieci anni e poi riparlarne…ma tanto è tutto inutile rimangono solo convegni parole e business…e basta così perché tra poco esattamente il 25 luglio sarà il quarto anniversario e mi trovo ancora nello stadio della follia più totale…mi manca da morire e non c’è un cazzo da fare…vorrei solo aggiungere, che se si cominciasse a fare fatti concreti starei in prima linea…infatti un po’ di sollievo l’ho trovato due anni fa quando ho cominciato il volontariato nella Casa Circondariale di Isernia dove i “miei” detenuti sono per la maggior parte spacciatori e tossicodipendenti giovani bellissimi che si bruciano la vita e che io cerco di aiutare attuando quello che chiamo “perdono responsabile” perché dietro ognuno di loro c’è una mamma come me che si dispera e soffre…se almeno uno di loro si salva con il mio “nulla” Massimiliano ,il mio angelo dagli occhi verdi, non sarà morto invano…..
Ciao Pierina, hai scritto cose profonde se vuoi raccontarci la tua storia ed anche un ricordo di tuo figlio, ci farebbe piacere. Ti siamo vicini con una preghiera! #RedazionePapaboys
Raccontarvi la mia storia? E come si fa a raccontare in poche parole tutto quello che ho sofferto nei dieci anni di tossicodipendenza di Massimiliano? La parte che mi piace di più, e che vorrei sbattere in faccia al caro prefetto – persona per la quale si può solo pregare e non spiegare perché ha il cuore e il cervello chiusi all’altro è che Massimiliano,nonostante il suo problema, facendo il cameriere a Roma si è pagato gli studi universitari e si è laureato in Infermieristica generale e pediatrica e ancora oggi i suoi pazienti mi fermano per raccontarmi della sua bontà d’animo e professionalità. Molte volte la cooperativa per cui lavorava non gli forniva tutto il materiale occorrente per le varie medicazioni: lui non si perdeva d’animo e li comprava con i suoi soldi….lo studio medico presso cui prestava servizio e precisamente la dottoressa Wilma Zullo mi disse quando venne a darmi le condoglianze che Massimiliano quando era andato a faRE IL COLLOQUIO AVEVA RACCONTATO DEL SUO PASSATO, perché gli ho sempre insegnato che nonostante tutto non doveva vergognarsi di aver sbagliato, ma tutti dovevano accettarlo per quello che era, e appunto mi disse che lei gli aveva dato un’opportunità, ma Massimiliano gli aveva restituito l’eccellenza. Della cooperativa Consol di Venafro (IS) dove abito, dove c’è scritto: “Non importa quanto si dà, ma quanto amore si mette nel dare”. (Madre Teresa di Calcutta) Per Massimiliano con affetto i colleghi. Che dire ancora? Non saprei da dove continuare…so solo che mi manca da morire…e non mi sono suicidata, come consiglia il caro prefetto, è perché condivido la mia vita con mio marito da 40 anni ed è lui che mi ha regalato questo gioiello che sono fiera di aver avuto come figlio per dono del Signore…Che altro posso dirvi…quando vi farà piacere potete contattarmi e sarò ben lieta di rispondervi. Vi auguro un santo popmeriggio in Cristo, Francesco e Chiara d’Assisi…Pace e Bene
manca un pezzo: della cooperativa mi è rimasta una targa-ricordo….