Il suo nome è Giovanni De Cerce, romano, padre di 4 figli, è catechista e membro del Cammino Neocatecumenale e lavora presso un’importante società di informatica.
Ai microfoni della Radio Vaticana ha racconta l’impressione vissuta la sera del 30 maggio durante la preghiera nei giardini vaticani con Papa Francesco e poi la sua esperienza di malattia e di guarigione:
Diciamo che l’emozione è cominciata da quando mi è arrivata la telefonata per partecipare e mi è stato detto che ero stato chiamato a rappresentare i guariti di tutto il mondo. E’ stata una forte emozione perché dietro c’era tutto un vissuto, in quanto io ho preso questa malattia come un terzo evento, diciamo, perchè vengo da un melanoma nel 2000, poi da un infarto nel 2014 e poi questa malattia nel 2020.
Tutto questo mi ha portato nel tempo della preparazione fino all’evento di sabato scorso, a domandarmi come mai dovessi andare io tra tanti malati che sono guariti, e la prima cosa che ho provato è stato un sentimento pieno di gratitudine, perchè vedere il Santo Padre è stato come se Dio, a tutti noi che siamo guariti, avesse voluto affidare un compito nuovo, un modo nuovo di vedere la vita e, forse, c’è bisogno oggi di persone che inizino a vedere la vita in modo nuovo. E mi sono sentito là come rappresentante, come se io fossi il capo di un filo che veniva tirato, solo il capo, però, l’estremità, perché sotto c’era un grappolo di persone che erano guarite, che avevano avuto questa vicissitudine, e l’emozione è stata enorme. Poi vedere i santuari… io ho pregato tanto Maria, ho chiesto anche a Maria di intercedere presso il suo Figlio, perché mi lasciasse stare ancora qui, e l’ho ottenuto, ma avevo anche temuto un po’ di poter lasciare questo vita, la mia famiglia.
Può raccontarci brevemente qual è stata la sua esperienza di malattia, che cosa è stato per lei? (l’intervista è di Vaticannews.va)
R. – Sono arrivato allo Spallanzani un po’ in maniera traumatica, perché ho avuto un arresto respiratorio e mia figlia che stava a casa in cucina con me, con tutta la mia famiglia – io ho 4 figli – mi ha fatto subito un massaggio cardiaco e così mi ha salvato in quel momento, poi sono andato all’ospedale ed ero molto preoccupato perché avevano detto tutti che questa malattia diventa più pericolosa quando si sono vissuti altri problemi di salute, per cui sono entrato in ambulanza pensando che avrei potuto non tornare, ho salutato mia moglie, i miei figli. Quando sono arrivato allo Spallanzani sono entrato nel percorso abbastanza complesso delle cure, lì nessuno diceva niente, però ho visto tanta tanta professionalità, anche tanto amore nel fare il loro lavoro. A questo punto ho cominciato a chiedere a Dio che cosa voleva fare con me, ero molto confuso, ma ero anche pronto nel senso che dicevo al Signore: dimmi tu. Ho saputo che tanti pregavano per me e allora ho iniziato a sentire la forza della preghiera. Io ho fatto quello che ho potuto perché naturalmente i pensieri erano tanti, erano anche di paura, ma non sono mai entrato nello sconforto o nella depressione. Però la paura sì, però il dubbio sì, se sarei mai uscito da quell’ospedale. E lì si è accesa una luce che io ho letto come le preghiere di tantissimi che pregavano per me: quelle di tutta la mia comunità, di tante persone che ho conosciuto, io faccio anche il catechista, le preghiere di mia madre che chiedeva di pregare per me ad alcuni monasteri che lei conosce nel mondo, le preghiere di mia moglie che tutte le notti si alzava per pregare e ho sentito la forza della preghiera, una forza enorme, e questo mi ha portato da Papa Francesco a pregare l’Ave Maria sentendo che quello era qualcosa di grande. Poi quanto ho scoperto che tanti santuari del mondo si sarebbero collegati ho fatto lo stesso pensiero, era una preghiera universale per tutti quelli come me, persone comuni, per le quali Maria ha uno sguardo pieno di amore.
Lei è ora guarito, ma tornando alla sua esperienza in ospedale, c’è stato un momento particolare che ricorda?
R. – Ricordo che un momento particolarmente forte è stato il Venerdì Santo, perché io ho vissuto il Triduo pasquale in ospedale. E nella notte di quel venerdì avevo dei forti dolori, ero immobilizzato, ma il primo tampone negativo io l’ho avuto il giorno di Pasqua. Per me è stato un segno molto grande: avevo chiesto a Gesù per il Venerdì Santo di provare un po’ della sua Passione e l’avevo avuto, ma la cosa bella è che nel giorno di Pasqua ho vissuto la resurrezione. E ho capito che il Signore mi stava dicendo: adesso andiamo in Galilea, così come quando il Signore risorge e dà appuntamento a tutti noi a Galilea. Per me voleva dire che il Signore mi chiamava ad una nuova vita.
Papa Francesco ha detto che da questa crisi non si esce uguali, o migliori o peggiori, lei lo sta già facendo, ma pensa che il mondo avrà il coraggio di cambiare in meglio?
R. – Io credo di sì, tutti i momenti di crisi nella storia vedono poi la resurrezione, sono come dei momenti di ‘reset’ della nostra vita, e questo perché è Dio che guida la storia e la storia ha dimostrato sempre che Dio ama l’uomo. Ora io penso che questo sarà un momento un po’ difficile, non sappiamo quanto sarà lungo, quanto sarà profonda la crisi, però io sono molto fiducioso, qualsiasi crisi è sempre un momento per noi di scelta, di discernimento, di capire che la vita va in un modo nuovo e sono fiducioso anche nell’uomo, anche se vediamo le difficoltà che ci sono, anche se vediamo che si è tanto allontanato da Dio, ma Dio non si è allontanato dall’uomo e questo mi dà molta fiducia.
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