A 30 anni di distanza, nella megalopoli di oltre 13 milioni di abitanti, sono in molti a ricordare questo avvenimento. Anzitutto il vescovo di allora, mons. Henry D’Souza, che ha accompagnato il papa nel tragitto.
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“L’impatto del nostro amato Papa sulla città è stato immenso. Il Santo Padre è riuscito a catturare i cuori e le menti della gente di Calcutta. Persone di tutte le fedi si sono allineate lungo i 10 km di percorso dall’aeroporto Dum Dum fino al Nirmal Hriday. Guardando tutta quella folla, il Papa mi dice: Avete molti cattolici qui a Calcutta! Io gli rispondo di no e spiego che quella gente erano persone di ogni fede venute a dare il benvenuto al capo della Chiesa cattolica, in attesa di una benedizione da lui”.
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“Per la gente di Calcutta – continua mons. D’Souza – è stato molto significativo che Giovanni Paolo II abbia cominciato la visita alla città dal Nirmal Hriday. Ciò mostrava che la prima preoccupazione del Papa erano i poveri, i moribondi, i sofferenti. Con questo atto di amore, di compassione e dolcezza, ha vinto i cuori della gente”.
L’altro fatto importante è stato quando il Papa ha baciato Madre Teresa. Questo gesto così singolare di affetto ha mostrato la compassione della Divina Misericordia di Gesù che abbraccia la povertà della persona umana. Lui, il Papa, era venuto per saziare e testimoniare la sete di Cristo per i poveri”.
Madre Teresa aveva aperto questo suo primo ospizio, nel 1952 vicino al tempio della dea Kali a Kaligath, cambiandone il nome in Nirmal Hriday, “Casa del cuore puro”. Da allora fino ad oggi l’ospizio ha accolto almeno 50mila moribondi.
Il giorno del suo arrivo, Giovanni Paolo II ha visitato in lungo e in largo il Nirmal Hriday per almeno 40 minuti. L’ospizio dove sono disponibili 120 letti per malati e moribondi è stato definito da lui un luogo sacro dove “il mistero della umana sofferenza si incontra col mistero della fede e dell’amore”.
Il nostro amato Papa ha sottolineato che non aveva facili risposte per la terribile povertà che vedeva. “Io non posso rispondere a pieno alle vostre domande – ha detto – e non posso strapparvi tutto il vostro dolore, Ma sono sicuro di una cosa: Dio vi ama di un amore senza fine. Voi siete preziosi ai suoi occhi”.
Nella visita all’ashram, il papa era guidato da Madre Teresa, fermandosi ad ognuno degli 86 pazienti che occupavano i letti quel giorno, benedicendoli ad uno ad uno. La visita era chiusa ai media, ma un portavoce vaticano che accompagnava il Papa ha detto che il pontefice era rimasto “molto commosso”.
La vasta maggioranza dei pazienti era indù, ma il Papa ha dato ad ognuno un rosario e ha benedetto con l’acqua santa le salme di quattro morti, raccolte nel piccolo obitorio.
Papa Giovanni Paolo II ha poi aiutato le missionarie della carità a servire il pasto serale ai malati, fatto di pane, curry con le patate e budino. “Non so chi sia – ha commentato uno dei consunti pazienti – ma deve essere un grande capo”.
In tarda serata, il Papa ha incontrato i leader religiosi e culturali della città e li ha spinti a forgiare una “nuova solidarietà” con gli abbandonati e con i moribondi delle strade di Calcutta. “I santi – ha detto – e gli uomini e donne vere di ogni religione sono stati sempre mossi verso una potente e attiva compassione verso i poveri e i sofferenti… Ai nostri giorni, la nostra coscienza religiosa e sociale è sfidata dalla crescente disuguaglianza fra aree sviluppate e quelle che sono sempre più dipendenti; dall’ingiustizia delle necessarie risorse incanalate nella produzione di terribili armi di morte e distruzione”.
Nell’89, in un’intervista, hanno domandato a Madre Teresa quale fosse il luogo più bello da lei visitato.
“Kaligath – ha risposto -, dove le persone muoiono nella pace, nell’amore di Dio: questa è la cosa più meravigliosa”.
A 25 anni dalla visita di papa Giovanni Paolo II, Nirmal Hriday è stato restaurato e ristrutturato in molte parti, ma la memoria della sua visita è ancora viva, come pure la foto che lo ritrae con la Madre, mentre i bambini cantano e danzano per dargli il benvenuto.
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Per suor Glenda, 57 anni, attuale superiora di Nirmal Hriday, rimane vera la definizione del logo dato da Giovanni Paolo II: un luogo sacro dove “il mistero della umana sofferenza si incontra col mistero della fede e dell’amore”.
“Per noi è una gioia essere qui. Gesù viene qui tutti i giorni, sotto la carne degli abbandonati… A tutt’oggi vi sono 110 pazienti moribondi, afflitti da ogni tipo di malattia terminale. Aids, cancro, tubercolosi… Noi li accogliamo qui e sentiamo che Gesù è venuto a visitarci”.
Anche l’idea di una “nuova solidarietà”, lanciata dal papa, porta frutto ancora oggi. “Se guardate alla lista dei donatori – spiega sr Glenda – tutti i nostri donatori sono indù. Nessuno di loro è mai stato contrario alla nostra presenza. Per noi Kaligath è la fonte di ogni benedizione, perché è stata la prima casa aperta da Madre Teresa. Anche gli indù la considerano una fonte di benedizione”.
Archivio Redazione e Asianews (di Nirmala Carvalho)
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