“Giovanni Paolo II e la fine del comunismo. La transizione in Polonia dal 1978 al 1989”. Questo il volume, edito da “Guerini e associati”, vincitore della quattordicesima edizione del premio Desiderio Pirovano, promosso dall’istituto Luigi Sturzo di Roma per valorizzare gli studi sulla storia della Chiesa e del Cristianesimo. L’autore, Massimiliano Signifredi, tra testimonianze e fonti inedite, ha ripercorso l’impatto di Karol Wojtyla nella nascita a Varsavia del primo governo non comunista nell’Europa dell’Est. Sentiamolo, al microfono di Michele Raviart per la Radio Vaticana:
R. – Giovanni Paolo II ha tolto la paura che si potesse cambiare e ha creduto, prima di tutto lui e con grande convinzione personale, che la transizione verso la democrazia fosse possibile senza spargimento di sangue, con il dialogo. Giovanni Paolo II ha creduto fermamente nel dialogo. Diceva, riferendosi alla preghiera delle religioni ad Assisi, a proposito della fine del comunismo: “Ad Assisi non abbiamo pregato invano”. Giovanni Paolo II credeva nella forza storica della preghiera e quindi il suo contributo è stato quello di un credente che, con la forza della preghiera, si è contrapposto ad un sistema che invece non dava che la minima importanza alla religione.
D. – Per questo volume sono stati consultati gli archivi in Polonia. Che cosa è emerso di nuovo?
R. – La ricerca è stata lunga ed è stata condotta negli archivi comunisti polacchi. Ho consultato una ricca bibliografia di testi pubblicati, purtroppo per i lettori italiani, solamente in polacco; ho avuto la possibilità di raccogliere le voci di alcuni testimoni e collaboratori di Giovanni Paolo II e ho raccolto anche le voci degli avversari di Giovanni Paolo II, a cominciare da quella del generale Jaruzelski, e di altri esponenti del governo comunista polacco che, a distanza di anni, non negano il ruolo insostituibile di questo Papa per un cambiamento pacifico.
D. – E che cosa ha detto Jaruzelski che, ricordiamolo, introdusse la legge marziale in Polonia nel 1981 per contrastare Solidarność, prima di lasciare in vista delle prime elezioni democratiche?
R. – Jaruzelski è una figura verso cui Giovanni Paolo II nutriva rispetto, questo bisogna dirlo. E a me Jaruzelski disse che Giovanni Paolo II gli era sempre sembrato un patriota, con cui si potesse fare un pezzo di strada insieme. Effettivamente la conclusione pacifica della transizione polacca, iniziata a mio avviso con l’elezione di Giovanni Paolo II, nell’ottobre del ’78, e conclusasi nell’’89 con la fine del comunismo in Polonia, ha dimostrato che Jaruzelski e i comunisti polacchi avevano trovato un modo di dialogare: avevano scoperto il metodo del dialogo. E un amico intimo di Giovanni Paolo II – mi piace ricordarlo – padre Tischner, studioso della filosofia del dialogo, diceva: “Il dialogo crea qualcosa che non esiste, fa avvicinare gli interlocutori e fa capire loro le posizioni l’uno dell’altro”. Comunisti e non comunisti in Polonia si sono accordati.
D. – Qual è stato il ruolo di Wojtyla nella Chiesa polacca prima e dopo l’elezione al soglio pontificio, nel 1978?
R. – Fino all’ottobre del ’78, Wojtyla era cardinale arcivescovo di Cracovia, ma non era una personalità pubblica in Polonia, era un vescovo pastorale, conciliare, che aveva voluto il Sinodo dell’arcidiocesi di Cracovia, dal ‘72 al ‘79, durante il suo primo viaggio – perché lui fu eletto Papa nel frattempo – ma non aveva una voce pubblica che ne facesse un leader. Wojtyla era sempre un passo indietro al cardinale Wyszyński, primate di Polonia, colui che ha rappresentato la resistenza di questa Chiesa indomita e piena di popolo, di sacerdoti, di religiosi e di religiose, che doveva fronteggiare il tentativo comunista di azzerarla e renderla inefficace, all’interno di una nazione profondamente cattolica.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana