R. – Siamo super-felici, perché il Papa ha accolto l’invito che gli ho rivolto incontrandoci in una Messa a Sana Marta, a settembre; ci aveva detto che nei limiti del possibile sarebbe venuto il Giovedì Santo. Il fatto che abbia mantenuto questa promessa ci fa molto, molto piacere: è una cosa bella. Ripeteremo l’esperienza di tre anni fa, con Papa Ratzinger, in un contesto diverso e con una persona diversa.
D. – Per i detenuti, cosa significa questa visita?
R. – Significa sicuramente un’attenzione importante della Chiesa di Roma in particolare alla loro condizione. Diciamo sempre che sono i più disgraziati; in questo caso, far vedere che sono figli di Dio amati dalla Chiesa e in particolare dal Papa, è per loro molto, molto importante. Tra l’altro, sarà la prima volta in cui celebreremo con uomini e donne detenute, quindi spostando le detenute del carcere femminile da noi: sarà una cosa molto bella.
D. – Che ricordo c’è della visita di Benedetto XVI?
R. – Un ricordo molto vivo, perché allora fu un dialogo di domande e risposte con il Papa, e lui si lasciò andare anche a confidenze personali e quindi fu una cosa veramente fraterna. In questo caso, la celebrazione sicuramente ha una solennità diversa ma il gesto della “Lavanda dei Piedi” ai detenuti e alle detenute, sarà il momento davvero non solo liturgicamente determinante, ma sarà il momento anche emotivamente molto bello.
D. – Qual è la situazione, oggi, di Rebibbia?
R. – Una situazione con un po’ meno sovraffollamento, ma le persone che ci stanno hanno sempre le problematiche di prima, perché purtroppo sul carcere – a parte qualche provvedimento deflattivo sui numeri – non è successo niente di nuovo.
D. – Quali sono le sue attese?
R. – Questa è una visita strettamente pastorale. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci faccia sentire parte della società, che ci faccia sentire cristiani di una Chiesa più ampia e non segregati. Questo il Papa lo farà e questo noi desideriamo.
D. – Che cosa chiede ai politici?
R. – Noi chiediamo davvero che il carcere non sia semplicemente la punizione e la vendetta della società rispetto a chi commette dei reati, a chi delinque; ma il carcere chiederemmo che fosse – come dice la Costituzione – un luogo di recupero, un luogo di ri-socializzazione, un luogo dove si possa anche mettere qualche base per tornare a vivere – meglio! – quando si esce.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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