Sette domande con altrettante risposte per chiarire uno dei temi tornati di recente al centro dell’opinione pubblica: il diaconato. E il numero scelto – sette – non è casuale in quanto rimanda ai primi sette “diaconi” di cui si parla nel libro degli Atti degli apostoli al capitolo 6. Sia ben chiaro: è una semplice scelta evocativa, in quanto – come si suol dire teologicamente – non c’è catena di successione tra i diaconi attuali e il gruppo dei sette. Ma chi sono oggi i diaconi? E quali i loro compiti? Ecco alcune informazioni utili, proprio nella settimana in cui viene celebrato il Giubileo dei diaconi (27-29 maggio), inserito tra i grandi eventi dell’Anno Santo della misericordia.
Che cosa è il diaconato?
Il diaconato è un grado del sacramento dell’Ordine; gli altri due sono il presbiterato e l’episcopato. Può costituire una tappa intermedia verso il sacerdozio (diaconato transeunte, cioè di passaggio) o rimanere un ruolo di “servizio” nella vita liturgica e pastorale e nelle opere sociali e caritative (diaconato permanente). A scanso di equivoci circa i gradi dell’Ordine sacro, vale la pena ricordare quanto viene precisato nel Catechismo della Chiesa cattolica al n. 1554: “Il termine sacerdos – sacerdote – designa, nell’uso attuale, i vescovi e i presbiteri, ma non i diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione sacerdotale (episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono tutti e tre conferiti da un atto sacramentale chiamato ‘ordinazione’, cioè dal sacramento dell’Ordine”.
Ai diaconi, viene chiarito ancora nella Lumen Gentium 29, “sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio”.
Quando è stato istituito il diaconato?
Il servizio dei diaconi nella Chiesa è documentato fin dai tempi degli apostoli. Ne parlano anche i padri della Chiesa. Per sant’Ignazio di Antiochia, ad esempio, una Chiesa particolare senza vescovo, presbitero e diacono sembra impensabile. Testimonianze sono pure presenti nei diversi Concili e nella prassi ecclesiastica. Dal V secolo, però, per diversi motivi, il diaconato conobbe un lento declino, finendo con il rimanere solo come tappa intermedia per i candidati all’ordinazione sacerdotale. Il Concilio di Trento (1545-1563) dispose che il diaconato permanente venisse ripristinato, ma tale prescrizione non trovò concreta attuazione.
Fu il Concilio Vaticano II a ristabilire il diaconato (Lumen Gentium 29).
Come si diventa diaconi?
Gli aspiranti al diaconato devono ricevere un’accurata preparazione, a norma del diritto. In molte diocesi il percorso formativo – umano, spirituale, dottrinale e pastorale – dura almeno cinque anni e prevede lo studio teologico, un tirocinio nelle comunità parrocchiali, oltre a incontri di approfondimento. Questo iter non finisce con l’ordinazione. Chi riceve il diaconato, infatti, è chiamato a una formazione permanente, “considerata – sia da parte della Chiesa, che la impartisce, sia da parte dei diaconi, che la ricevono – come un mutuo diritto-dovere fondato sulla verità dell’impegno vocazionale assunto” (Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, n.63).
Quali sono i compiti del diacono?
Il ministero del diacono è sintetizzato dal Concilio Vaticano II con la triade “diaconía della liturgia, della predicazione e della carità”, con cui serve “il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio”.
Pertanto, il diacono, “secondo le disposizioni della competente autorità”, può “amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’Eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali (le benedizioni, ad esempio, ndr), presiedere al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: ‘Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti’” (Lumen Gentium 29).
Il diacono deve essere celibe?
Il candidato al diaconato transeunte deve essere celibe e può essere ammesso all’ordinazione solo dopo aver compiuto i 23 anni di età. I diaconi permanenti, invece, possono essere ordinati sia tra i battezzati celibi, sia tra coloro che sono già sposati; se però sono celibi, dopo l’ordinazione non possono più sposarsi. Similmente non si può più risposare il diacono rimasto vedovo. Per diventare diacono l’età minima è di 25 anni per i celibi e di 35 per le persone sposate, previo consenso della moglie, in ottemperanza alle disposizioni determinate dalle Conferenze episcopali.
Al diaconato possono accedere le donne?
Nella Chiesa cattolica non è previsto un accesso delle donne a questo ministero.
Papa Francesco, ricevendo in Vaticano il 12 maggio 2016 l’Unione internazionale delle superiore generali, in risposta alla domanda di una religiosa, ha annunciato di voler “costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione” delle diaconesse, “soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa”.
Nella Chiesa antica c’erano le diaconesse?
Notizie certe circa un diaconato femminile organizzato si hanno per le Chiese d’Oriente. Nel Trattato “Didascalia apostolorum” (“Didascalia degli Apostoli”) si parla delle diaconesse, assegnando loro un ruolo subordinato ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi. Le loro competenze rientravano in servizi di tipo ausiliario, a supporto assistenziale e organizzativo delle comunità cristiane. In ogni caso non si trattava del corrispondente femminile del diaconato maschile.
Redazione Papaboys (Fonte agensir.it)