Ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno, nella diocesi di Erbil, si trovano i cristiani iracheni cacciati dalla Piana di Ninive dalle violenze dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Ieri mattina, qui, nella Cattedrale di San Giuseppe, è stata aperta la Porta Santa. Tanti i fedeli presenti. Ascoltiamo la testimonianza di padre Benham Benoka, sacerdote siro-cattolico di Mossul, al microfono di Fabio Colagrandeper Radio Vaticana:
R. – Come già aveva detto il Santo Padre, annunciando questo Giubileo, Cristo è il volto della misericordia di Dio. Essendo il Corpo di Cristo, come Chiesa, ci dà questa responsabilità di essere come il Cristo: misericordiosi in mezzo al mondo. Per noi questo non è facile. E’ proprio molto difficile, essendo perseguitati in una società che abbiamo costruito noi migliaia di anni fa e in cui oggi noi siamo rifiutati, siamo perseguitati. Vivere la misericordia qui sembra difficile, però non impossibile al cristiano. Questo non ci distoglie dalla responsabilità di aprire le mani verso, non solo i fratelli, ma anche verso coloro che ci perseguitano.
D. – Come è possibile questo? Come è possibile parlare di perdono in una situazione così drammatica?
R. – La vita del cristiano oggi lo vede portare le stesse ferite del Cristo, tradito da tutta la sua società. Il cristianesimo qui, in Medio Oriente, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo dove ci sono cristiani perseguitati, questa persecuzione ci dà la possibilità di vivere la grazia della croce. Forse queste parole non sono accettabili da una società molto “ragionevole”, ma da una società che vive la persecuzione quotidianamente e che ha in casa, nella tenda e nel container anche la croce di Cristo, è molto possibile. Anzi, forse questa per noi è l’unica speranza da cui prendiamo tutta la forza per andare avanti. Questo perdono, però, non vuol dire accettare che il male avanzi. Questo è contro il progetto di Dio di portare la pace, di portare l’amore al mondo.
D. – Questa porta aperta nella cattedrale di Ankawa ad Erbil può essere una porta aperta sulla pace?
R. – Sicuramente questa porta è come le porte del cuore di ogni cristiano: è aperta per avere uno scambio di pace con gli altri, per accettare gli altri malgrado i loro comportamenti verso i cristiani. Su un altro livello, però, ci deve essere anche la giustizia, giustizia che è l’unica condizione che può impedire il male dei malvagi.
D. – Quindi voi pregate anche perché questa apertura di una Porta Santa ad Erbil sia occasione per ricordare al mondo, alla comunità internazionale, la situazione drammatica in cui vivete voi cristiani iracheni…
R. – Sicuro. La nostra testimonianza attraverso l’apertura della Porta del cristianesimo della misericordia a tutti è un segnale per dire: “Avvicinatevi tutti e gustate l’amore di Cristo”. Questo credo che sia non una propaganda, ma la nuova evangelizzazione voluta dal Santo Padre e voluta anche dalla Chiesa sin dall’inizio.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)