La 14enne bergamasca morta nell’agosto del 2011 per un sarcoma. Al Santuario il vescovo Beschi darà inizio alla fase diocesana. Saranno raccolti documenti e testimonianze di chi l’ha conosciuta.
Domenica 3 marzo sarebbe stato il ventiduesimo compleanno di Giulia Gabrieli- lo ricorda il quodiano l’Eco di Bergano. In quel giorno, parenti e amici si sono ritrovati nel Santuario della Madonna dei campi a Stezzano, luogo molto caro a Giulia, per celebrare insieme l’eucarestia.
Il Vangelo quel giorno ci riconsegnava il celebre monito sapienziale per cui ogni albero si riconosce dai suoi frutti
Ha trasformato i suoi due anni di malattia in un inno alla vita, in un crescendo spirituale che l’ha portata a dialogare con la sua morte: «Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio». Giulia era fatta così: diceva queste cose enormi, che a noi adulti tremolanti sembrano impronunciabili, con la lievità dei suoi 14 anni.
Eppure era una ragazza normale. Anzi, rivendicava spesso la sua normalità: era bella, solare, genuinamente teatrale, amava viaggiare, vestirsi bene e adorava lo shopping. Un’esplosione di raffinata vitalità, che la malattia, misteriosamente, non ha stroncato, ma amplificato.
Aveva il talento della scrittura (due volte premiata al concorso letterario «I racconti del parco»). Amava inventarsi storie fantastiche, avventurose. Per questo paragonava la sua malattia a un’avventura. E rifletteva: «Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! Se gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono “Dai che ce la fai!”, è quello che ci dà la forza di andare avanti. Se questo non succede ti chiedi: perché vanno così lontano? Se hanno paura, allora devo temere anch’io… Perché dovrei lottare per la guarigione se nessuno mi sta accanto?». Non solo conosceva perfettamente la sua malattia, ma aveva imparato a distinguere ogni farmaco, ogni risvolto tecnico delle chemioterapie. Con la sua amabile ma dirompente personalità non lesinava consigli (eufemismo, sarebbe meglio dire direttive) a medici e infermieri dell’oncologia pediatrica di Bergamo. In più ci aggiungeva la sua decisiva flebo di allegria: «Se trovi la forza per pensare: eh va be’, vado in ospedale, faccio una chemio e poi torno a casa, è tutta un’altra cosa. Certo anch’io quando sto male mi chiedo: perché è successo proprio a me? Poi però quando sto meglio dico: “Massì, dai, è passato”. Ci rido anche sopra…».
La malattia va sdrammatizzata, diceva sempre Giulia. E ci riusciva così bene che pochi giorni prima di morire ha costretto uno dei suoi medici, in visita a casa sua, a mimare «quella volta in cui sono svenuta e tu mi ha presa al volo». Lui ha dovuto mimare e farsi pure fotografare. Quel drammatico pomeriggio è finito con una risata collettiva. Già, i suoi «supereroi». Giulia aveva un rapporto personale, speciale, perfino confidenziale con ciascuno di loro. Li adorava, ampiamente ricambiata. E si arrabbiava moltissimo quando in Tv sentiva parlare di «malasanità». «Se ci fate caso non c’è molta differenza tra un supereroe e un medico. I supereroi salvano tutti i giorni la vita a delle persone, anche sconosciute. E lo stesso si può dire dei medici: solo che anziché usare le tele di ragno come Spiderman o le ali come Batman, usano le medicine. E poi, dal punto di vista umano, sono davvero imbattibili». Potete quindi immaginare con quale peso sul cuore i suoi supereroi le dovettero comunicare un giorno della «recidiva». Il tumore, un sarcoma tra i più aggressivi, tenacemente combattuto per un anno e ridotto in un angolo, si era ripresentato. Più forte di prima. C’era da ricominciare tutto da capo.
Nello studio, i medici schierati avevano le lacrime agli occhi, che non sarà professionale ma è dannatamente umano. Non riuscivano a rompere il ghiaccio. Allora Giulia, che come al solito aveva già capito tutto, con uno di quei suoi gesti spontanei e regali, si è alzata e li ha abbracciati uno per uno (e chi l’ha conosciuta sa cosa erano i suoi abbracci…). Poi ha detto: «Ce l’ho fatta una volta ad affrontare le chemio, posso farcela anche la seconda. Forza, ripartiamo da capo». Insomma, li ha consolati, capite? Eppure, insisto, Giulia era una ragazza normale. Per esempio, come tutti i suoi coetanei, amava la musica. E in modo speciale un grande classico di Claudio Baglioni, nella versione cantata da Laura Pausini: «Strada facendo». «Strada facendo vedrai che non sei più da solo… mi trasmette proprio un grande slancio: dai che ce la fai! Strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo… Sì, mi dà leggerezza, una grande speranza». Strada facendo Giulia si è imbattuta nella storia di Chiara Luce Badano, morta nel 1990, a diciotto anni, per un tumore osseo e proclamata beata il 25 settembre 2010. E Dio solo sa quanto è stato provvidenziale questo incontro: «Lei è morta, però ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, abbandonandosi alla volontà del Signore. Voglio imparare a seguirla, a fare quello che lei è riuscita a fare nonostante la malattia. La malattia non è stata un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a Lui…».
Testo di Fabio Finazzi
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