Forse sarebbe stata una splendida insegnante di Lettere. Invece è uno splendido angelo, di quelli che continuano a illuminare le altrui esistenze anche quando sono volati via. Il Fato, infatti, è sordo alle richieste degli uomini, e lei, Giulia, palmierina con la fissa del Mito, lo sapeva molto bene: le vicende terrene sono sotto la scure di Ananke, Necessità. E quando è ora che qualcosa accada – e che qualcuno vada via – inutile piangere, disperarsi, pregare: si va, e basta. E Giulia, in una cavalcata tumultuosa e inarrestabile verso il suo destino, se n’è andata, lasciando mamma Daniela e papà Ennio in una valle di lacrime.
Ma Giulia non è lontana: è solo andata nella stanza accanto, per usare le struggenti parole che qualcuno attribuisce a Sant’Agostino, altri a Henry Scott Holland, canonico della cattedrale di St.Paul a Londra. Giulia, l’angelo della stanza accanto. Giulia, un angelo con la laurea: domani. Domani, infatti, Giulia Romano – primo caso nella storia dell’Università del Salento – verrà proclamata dottoressa in Lingue, Culture e Letterature Straniere, insieme ad altri studenti, nonostante al momento della sua morte, avvenuta il 23 maggio scorso, le mancassero due esami e la tesi in Letteratura inglese: «Gliel’ho annunciato, era in ospedale, in stato di sedazione profonda. Non so se sia stato un caso, ma in quel momento i battiti del suo cuore sul monitor sono aumentati», racconta sopraffatta dall’emozione Daniela, la mamma di Giulia.
La decisione dell’Ateneo nei giorni scorsi a seguito della richiesta dei genitori, testimoni straziati dello sgomento che aveva colto la ragazza quando, il 19 aprile scorso, le compagne di corso si erano laureate e lei era stata costretta a desistere a causa della malattia che l’ha divorata in pochi mesi: un tumore raro, aggressivo e grande come un pallone, partito dalle ghiandole surrenali e finito al fegato. Scoperto nell’autunno 2017 durante una seduta di pole dance – Giulia era una perfetta atleta, sebbene minuta – e così maligno da farsi beffe di un intervento a Rimini, il 21 dicembre, e di due cicli di chemioterapia presso il reparto di Oncologia pediatrica dell’ospedale di Lecce. Il Fato, appunto, che Giulia, grandi occhi verdi e fisico da piccola pin up (sempre caracollante su altissimi tacchi che riusciva a portare solo lei), conosceva assai bene; per questo – e per proteggere i suoi genitori da una verità inaccettabile – non ha mai chiesto notizie precise sull’andamento della malattia.
Innamorata della civiltà classica e della Grecia, Giulia piangeva infatti ogni volta che assisteva alla morte di Ettore nel film “Troy”, ed era appunto un asso quando si parlava di Mito, ma i libri erano comunque per lei una passione unica, dal fantasy alla letteratura inglese: oggetti sacri da non prestare e da non portare in spiaggia, perché si rovinavano, racconta ancora Daniela. Unica figlia, nata a Castel San Pietro, vicino Imola, dove la famiglia aveva abitato per dodici anni per motivi di lavoro del padre, Giulia aveva scelto la laurea triennale in inglese pur con le lettere classiche in mente, e si riprometteva di sanare quella mancanza in un secondo momento. C’è ancora un libro intatto di Valerio Massimo Manfredi sulla sua scrivania, a testimonianza di un amore che andava dal “Principe” di Machiavelli fino ad Harry Potter, e al suo orgoglio di essere una “Grifondoro”. Da brava Scorpione ascendente Scorpione (quindi Toro), era una grande amante della natura e degli animali, soprattutto dei suoi adorati cani e gatti che all’inizio vagavano spaesati per casa senza di lei: «Tornati da Imola avevamo scelto di abitare a Frigole, la mia casa d’infanzia, perché lei amava la campagna: la mattina sapevo che si era svegliata perché cominciava a miagolare dalla sua stanza. Poi, quando arrivano vicino al suo letto, “Amami!”, era il suo imperioso comando. E ci abbracciavamo».
Logico che un sole così splendente abbia lasciato un senso di vuoto insopportabile; anche nel fidanzato imolese, Andrea, che conosceva fin da ragazzina e che l’ha adorata fino alla fine. Un sole che splende ancora: «Mio marito ed io sopravviviamo solo per il pensiero di averla avuta accanto nei ventidue anni più belli della nostra vita – racconta Daniela – e perché se annullassimo noi stessi annulleremmo anche lei, il nostro modo di farla sopravvivere. Forse per questo pubblicheremo i suoi diari». E difficile, molto difficile pensare ad un angelo rinchiuso in una cassa di legno: «Volevo che lei tornasse ad essere energia pura; un cimitero non sarebbe stato il suo posto», aggiunge ancora Daniela. Così quel giorno, al cospetto di tanti amici arrivati a Lecce per il suo funerale (perfino da Edimburgo), le ceneri di Giulia sono state portate a Spiaggiabella e poi liberate in mare. «Mio marito fa kite e aveva più volte cercato di portare con sé Giulia, ma lei, non so perché, si era sempre rifiutata. Anche quando è arrivato il momento di spargere le sue ceneri al largo il vento, fortissimo fino ad allora, si è improvvisamente calmato. Non c’è stato verso di far alzare la vela. «Vedi che questa, col kite, non vuole proprio venire», mi ha detto mio marito. Allora abbiamo sparso le sue ceneri a riva. Poi, tutti vestiti – era fine maggio – ci siamo buttati in acqua con i suoi amici e le sue amiche. E siamo andati a brindare. È stata una festa – conclude Daniela – proprio come aveva chiesto Giulia un giorno: se mai mi succedesse qualcosa, non piangete. Ricordatemi con un brindisi e un sorriso».
di Leda Cesari per Il Messaggero on line