La misericordia per me è un dono da condividere e vivrò questo Giubileo come un’opportunità per mettere da parte i rancori e perdonare chi mi ha ferito». Giusy Versace parla a cuore aperto. È una donna che ha sofferto molto ma ha saputo andare avanti con coraggio ed è stata premiata con il successo.
La notorietà, inaspettata e sorprendente, non l’ha cambiata: dopo la vittoria nel programma televisivo Ballando con le stelle in coppia con Raimondo Todaro, Giusy Versace ha accettato la sfida di condurre, insieme con Alessandro Antinelli, una trasmissione storica come La domenica sportiva.
«Ho accettato per avere la possibilità di far conoscere meglio il mondo dello sport paralimpico. Ora sto studiando il calcio», assicura la 38enne nata a Reggio Calabria ma milanese d’adozione. Che confida: «Prima di ogni puntata prego la Madonna e mi faccio il segno della croce all’inizio e alla fine della diretta. Succede anche nei momenti che precedono e seguono le gare di corsa: un colloquio ininterrotto con Gesù».
UN FULMINE A CIEL SERENO
La fede ha fatto sempre parte dalla sua vita, ma da dieci anni a questa parte lo è ancor di più, se possibile. Perché il 2005 segna uno spartiacque nella sua vita: durante un viaggio di lavoro, il 22 agosto, perde il controllo della sua auto sulla Salerno-Reggio Calabria a causa del maltempo, e il guardrail le taglia di netto entrambe le gambe sotto il ginocchio. Nonostante il dolore lancinante, «sono rimasta sempre lucida, non ho mai perso conoscenza», ricorda. «In quei momenti drammatici chiedevo a Dio di vivere, solo questo».
Quando in ospedale le comunicano che ha perso gli arti inferiori, è un duro colpo: dinamica, giovane, Giusy era abituata a essere autonoma fin da giovanissima. Figlia di Alfredo Versace, cugino degli stilisti Donatella e Santo, era abituata a lavorare sodo ma anche ad avere successo.
LA PROMESSA ALLA VERGINE
«Mi sono resa conto, però, di essere viva e che ogni giorno è un grande dono. Ho provato un senso di gratitudine, non di disperazione. E ho promesso alla Vergine che sarei andata a Lourdes per ringraziarla appena fossi tornata a camminare». Non solo: «Ho aperto gli occhi sulla realtà della disabilità, conoscendo altre persone che avevano subìto amputazioni», racconta. Inizia il duro periodo della riabilitazione, durante il quale i monconi degli arti devono man mano abituarsi a “indossare” le protesi e a ritrovare un nuovo equilibrio, fisico e psicologico. Mesi difficili, in cui la preghiera del rosario l’accompagna insieme ai suoi affetti più cari: i genitori, pur se separati («non siamo la famiglia del Mulino bianco»); il fratello Domenico e gli amici. Il fidanzato “storico”, invece, non riesce a metabolizzare la situazione e la loro relazione finisce.
A LOURDES
Ma Giusy va avanti, con testarda determinazione e con le sue “nuove” gambe: «Ne ho un paio per ogni occasione», scherza (ma non troppo). «Quelle per camminare, le siliconate abbronzate per andare sulla spiaggia e quelle in titanio per correre, nonostante il parere contrario di qualche medico». Nel 2006, un anno dopo l’incidente, va in pellegrinaggio alla Grotta di Massabielle, «per ringraziare la Madonna di essere riuscita di nuovo a camminare: glielo avevo promesso», ribadisce. Il bagno nelle piscine di acqua benedetta, i passi con le protesi alternati alla sedia a ruote e alle stampelle, il clima sereno: resta contagiata da volontari, malati e disabili dell’Unitalsi. «È stato il viaggio della mia vita che mi ha fatto scoprire il desiderio di fare qualcosa per gli altri e non solo per me. Ho deciso di diventare una volontaria e quando posso partecipo al pellegrinaggio nazionale, portando la mia testimonianza e cercando di rendermi utile agli altri. Allo stesso tempo ricevo molto, mi ricarico, trovo energia e forza».
Schietta, sbrigativa, non le piace mettere in mostra il suo impegno: lo vive e basta, sempre di corsa fra le mille cose da fare. Sì, perché dopo Lourdes sono arrivati un nuovo lavoro, l’amore per il catanese Antonio Magra (con cui è fidanzata dal 2007: si sono conosciuti al Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, perché anche lui ha subìto l’amputazione di una gamba per un incidente sul lavoro), l’inizio nel 2010 della sua carriera da velocista che la porterà a correre i 100 e i 200 metri ai Campionati mondiali paralimpici di atletica leggera, fino al 31 ottobre a Doha, in Qatar, tappa di passaggio in vista delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016. «Rimanere ad alti livelli richiede sacrificio», ammette, «ma vivo alla giornata, chiedendomi cosa vuole Dio da me. La mia vita è tutta una sorpresa e chi mi sta vicino non si annoia. Sicuramente mi fa piacere che bambini e adolescenti mi seguano sui social network e durante gli allenamenti: vorrei comunicare a tutti che la disabilità non deve essere vissuta come un limite. Se il mio sorriso può aiutare qualcuno ad accettarla in maniera positiva, la sera quando vado a letto e mi stacco le gambe posso sentirmi soddisfatta. Ma se riesco a gestire tanti impegni, lo devo alle persone che mi vogliono bene: ad esempio, ho imparato a correre perché ho incontrato Andrea Giannini, il mio allenatore, così come nel ballo il mio maestro è stato Raimondo Todaro, che mi ha convinta a indossare di nuovo scarpe con il tacco. Non l’avevo più fatto dopo l’incidente, e ora azzardo anche un tacco di 8 centimetri».
IL ROSARIO NEL CAMERINO
Tornando agli spettacoli e alla tv, «una statuetta della Madonna di Lourdes mi segue nei camerini, così come il mio rosario», confida Giusy. «Se sono triste e pensierosa, se ho qualche dubbio, entro in chiesa e cerco una statua di Maria e davanti a lei apro il cuore in lunghi monologhi. La fede aiuta a non sentirti mai solo».
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