Stojan è un villaggio al limite della mia diocesi, nella sua parte sud. Mi ci sono recato, qualche settimana fa, per la festa patronale, san Giovanni da Capestrano (23 ottobre). Ho anche cresimato sette ragazzi e in chiesa c’erano in tutto venti persone.
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È una chiesa piccolissima, ricostruita sulle rovine della vecchia che fu distrutta durate il comunismo. Il missionario fidei donum di Brescia, don Gianfranco, mi ha guidato a visitare anche la vecchia canonica che un tempo fu un convento di frati minori.
Dopo la messa, abbiamo visitato due famiglie povere, ma accoglienti e generose. Nella festa patronale tutte le case del villaggio sono aperte per ricevere ospiti a pranzo e a cena. Abbiamo assaggiato un po’ di grappa come da tradizione e poi da ultimo sono andato nella casa di Gjon che mi stava aspettando, perché sapeva che sarebbe venuto il vescovo.
Gjon ha 97 anni. Gli piace parlare in italiano e si fa capire bene. Anche con me vuole parlare in italiano, ma io gli ripeto che sono un vescovo albanese…
Lui sorride, dicendomi che lo sa, ma preferisce ugualmente l’italiano! Ha imparato la lingua nel 1939 quando lavorava come manovale per una ditta mineraria italiana a Rubik, sempre nella diocesi di Reshen. Tiene il rosario in mano e inizia a raccontarmi: “Ho combattuto 74 anni contro ‘quello che Dio ce lo tenga lontano’”, e parla del diavolo del quale non vuole menzionare il nome. Per lui il diavolo ha il volto del regime totalitario del comunismo.
“Sono stato arrestato tre volte e destinato alla fucilazione, ma sono ancora vivo e mi ha mantenuto in vita la preghiera. Io ero un tipo sanguigno – racconta Gjon –, tenevo sempre la pistola con me. Avrei anche voluto usarla qualche volta, ma la preghiera mi ha trattenuto senza ammazzare nessuno. Ammazzare è un peccato. ‘Quello che Dio ce lo tenga lontano’ mi ha tentato varie volte a fare vendetta contro coloro che mi perseguitavano, ma non l’ho fatto ”. Prosegue: “Il rosario – e me lo mostra tenendolo in mano –, ecco cosa mi ha salvato”.
E poi scherza sulla sua storia, fa anche dell’autoironia. Ricorda quando un segretario del partito comunista voleva fargli bestemmiare sant’Antonio e lui finse di essere demente dicendosi incapace di insultare una tartaruga. Anche in quella occasione, dice,
“il sangue mi era salito alla testa e volevo farlo fuori, ma qualcosa fuori di me mi ha trattenuto. Erano tempi difficili. La vita era legata a un filo. Mi hanno fatto di tutto, ma non hanno vinto. La fede ha vinto. Era la fede di mio padre e di mia madre… Quando eravamo bambini pregavamo tre volte al giorno il rosario”.
Gjon non si vuole fermare, ha tanto da raccontare, un’intera vita che tra tre anni arriverà a quota 100. Io gli dico: hai fatto bene a resistere. Ecco, le tue dita servono per la corona del rosario e non per muovere il grilletto della pistola. Sorride e concorda.
Poi gli dico: “Abbiamo portato Gesù da te visto che tu non sei venuto in Chiesa”. Ci mettiamo a pregare tutti insieme. Gli è accanto la moglie, la seconda moglie, perché la prima è morta lasciandogli i figli piccoli da crescere. Adesso sono tutti e due anziani e pregano insieme il rosario tutte le sere. Lui dice che a volte si alza anche la notte e quando non riesce a dormire prega il rosario.
Recitiamo il Padre nostro e poi gli mostro l’ostia dicendo: “Ecco l’agnello di Dio…”. Gjon è assorto e riceve la comunione raccogliendosi in silenzio. Rimaniamo alcuni attimi tutti in silenzio e preghiamo. Quindi impartisco la benedizione e gli chiediamo il permesso di congedarci da lui. Vorrebbe accompagnarci fuori, ma non glielo permettiamo. È anziano e fa fatica ad alzarsi. Gli prometto che andrò di nuovo a trovarlo e gli dico: “Grazie della tua bella testimonianza”.
Gjergj Meta – vescovo di Rrëshen (Albania)
Fonte www.agensir.it
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