Si è svolto questa mattina in Vaticano un briefing durante il quale la Segreteria di Stato ha spiegato agli ambasciatori dei Paesi accreditati presso la Santa Sede il significato della Giornata di preghiera e digiuno promossa per sabato prossimo da Papa Francesco per la pace in Siria, Medio Oriente e nel mondo. Di seguito, l’intervento di mons. Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati:
Saluto S.E. il Sig. Decano e gli Ecc.mi Ambasciatori presenti e vi ringrazio per la vostra presenza, che apprezzo particolarmente perché l’invito è stato inoltrato con poco anticipo. L’incontro di oggi intende essere una nuova espressione della sollecitudine di Sua Santità Papa Francesco e della Santa Sede per la pace nel mondo con speciale attenzione al Medio Oriente e in particolare alla Siria, una sollecitudine di cui abbiamo visto un esempio molto eloquente e commovente proprio durante l’intervento del Santo Padre in occasione della preghiera dell’Angelus domenica scorsa.
L’accorato appello del Papa si fa interprete del desiderio di pace che sale da ogni parte della terra, dal cuore di ogni uomo di buona volontà. Nella concreta situazione storica segnata da violenze e guerre in molti luoghi, la voce del Papa si leva in un momento particolarmente grave e delicato del lungo conflitto siriano, che ha visto già troppa sofferenza, devastazione e dolore ai quali si sono aggiunte le tante vittime innocenti degli attacchi del 21 agosto scorso, che hanno suscitato nell’opinione pubblica mondiale orrore e preoccupazione per le conseguenze del possibile impiego di armi chimiche. Davanti a fatti simili non si può tacere, e la Santa Sede auspica che le istituzioni competenti facciano chiarezza e che i responsabili rendano conto alla giustizia. Tali deplorevoli atti hanno suscitato le note reazioni anche in ambito internazionale. Il Santo Padre da parte sua ha fatto presente con gravità e fermezza che «c’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire» (Angelus, 1° settembre 2013), ribadendo che non è mai l’uso della violenza che porta alla pace, anzi che la violenza chiama violenza!
Fin dall’inizio del conflitto, la Santa Sede è stata sensibile al grido di aiuto che giungeva dal popolo siriano, in particolare dai cristiani, non mancando da subito di manifestare con chiarezza la sua posizione caratterizzata, come in altri casi, dalla considerazione della centralità della persona umana – a prescindere della sua etnia o religione – e dalla ricerca del bene comune dell’intera società. Basti qui ricordare anzitutto gli accorati appelli di Benedetto XVI in occasione dei Messaggi Urbi et orbi e dei discorsi al Corpo Diplomatico. Più volte egli ha invitato a «porre fine a un conflitto che non vedrà vincitori ma solo sconfitti» (Discorso al Corpo Diplomatico, 7 gennaio 2013), richiamando la necessità di aprire «un dialogo costruttivo» fra le parti e di favorire l’aiuto umanitario alle popolazione. Inoltre, va ricordato il desiderio da lui espresso di inviare una delegazione di Vescovi e Cardinali in Siria per manifestare la sua sollecitudine, in occasione del Sinodo dei Vescovi, iniziativa che però poi dovette essere sostituita per una visita nella Regione dell’Em.mo Card. Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
Dall’inizio del Suo pontificato anche Papa Francesco ha fatto riferimento in più occasioni alla situazione in Siria già a partire dal Suo primo Messaggio pasquale Urbi et orbi, a meno di un mese dalla Sua elezione, in cui domandava «quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?». Il Papa ha poi nuovamente espresso le proprie preoccupazioni, in particolare nel discorso ai partecipanti all’incontro di coordinamento tra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi in Siria, il 5 giugno 2013, come pure nell’Angelus del 25 agosto scorso, levando la voce «perché si fermi il rumore delle armi» in una «guerra tra fratelli», che ha visto «il moltiplicarsi di stragi e di atti atroci». Della questione il Santo Padre ha potuto parlare anche con diversi leader religiosi e politici di più Paesi, l’ultimo dei quali il Re Abdullah II di Giordania.
Inoltre non sono mancati ripetuti interventi degli Osservatori permanenti della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, sia a New York che a Ginevra, nonché altre dichiarazioni della Sala Stampa, che hanno ripreso la posizione chiara espressa dai Pontefici. Anche il Nunzio Apostolico a Damasco, S.E. Mons. Mario Zenari, ha ribadito a più riprese la posizione della Santa Sede e rimanendo sul posto manifesta la sollecitudine e la vicinanza del Santo Padre alla cara popolazione siriana. Sono note a tutti le drammatiche conseguenze del conflitto, che ha provocato più di 110.000 morti, innumerevoli feriti, più di 4 milioni di sfollati interni e più di due milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Di fronte a questa tragica situazione si rivela assolutamente prioritario far cessare la violenza, che continua a seminare morte e distruzione e che rischia di coinvolgere non solo gli altri Paesi della Regione, ma anche di avere conseguenze imprevedibili in varie parti del mondo.
All’appello alle parti di non chiudersi nei propri interessi ma di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione, si aggiunge quello alla Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sempre sul dialogo e sul negoziato. Insieme all’impegno per la cessazione della violenza si rivela di somma importanza richiamare l’esigenza e l’urgenza del rispetto del diritto umanitario.
Si rivela, altresì, urgente l’assistenza umanitaria a gran parte della popolazione e in questo aspetto ringrazio la generosità di tanti dei vostri Governi a favore della popolazione siriana sofferente. La Chiesa cattolica da parte sua è impegnata in prima linea con tutti i mezzi a sua disposizione nell’assistenza umanitaria alla popolazione, cristiana e non. Menziono alcuni elementi che la Santa Sede considera importanti per un eventuale piano per il futuro della Siria e che trovate anche nel documento che vi è stato consegnato.
Tra i principi generali che dovrebbero orientare la ricerca di una giusta soluzione al conflitto segnalo i tre seguenti:
1. È innanzitutto indispensabile adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e per la riconciliazione del popolo siriano.2. Occorre poi preservare l’unità del Paese, evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della società.
3. Infine, occorre garantire, accanto all’unità del Paese anche la sua integrità territoriale.
Sarà importante chiedere a tutti i gruppi – in particolare a quelli che mirano a ricoprire posti di responsabilità nel Paese – di offrire garanzie che nella Siria di domani ci sarà posto per tutti, anche e in particolare per le minoranze, inclusi i cristiani. L’applicazione concreta di detto principio potrà assumere varie forme, ma in ogni caso non può essere dimenticata l’importanza del rispetto dei diritti umani e, in particolare, di quello della libertà religiosa. Parimenti, è importante tenere come riferimento il concetto di cittadinanza, in base al quale tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, sono alla stessa stregua cittadini di pari dignità, con eguali diritti e doveri, liberi «di professare pubblicamente la propria religione e di contribuire al bene comune» (cfr. Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico, 7 gennaio 2013)
Infine, è causa di particolare preoccupazione la presenza crescente in Siria di gruppi estremisti, spesso provenienti da altri Paesi. Da qui la rilevanza di esortare la popolazione e anche i gruppi di opposizione a prendere le distanze da tali estremisti, di isolarli e di opporsi apertamente e chiaramente al terrorismo.
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