Debora Donnini – Città del Vaticano
È sempre un abbraccio di gioia e commozione quello fra il Papa e i giovani alla Veglia, uno degli momenti clou delle Giornate Mondiali della Gioventù. Gli inni delle passate GMG creano in qualche modo un “ponte” temporale con l’oggi mentre, al calar della sera, Francesco saluta le migliaia di giovani a bordo della papamobile. Con lui ci sono 5 giovani in rappresentanza dei Continenti. La festa, i canti, le bandiere che sventolano nel Campo San Juan Pablo II – Metro Park di Panama, lasciano spazio alla voce di Francesco quando inizia il suo discorso in spagnolo e gli occhi dei 600mila ragazzi presenti si fissano su di lui. Un discorso, interrotto più volte dagli applausi e con diverse aggiunte a braccio, che ruota attorno alle parole di Maria: “Avvenga per me secondo la tua parola”, il motto stesso di questa GMG centroamericana.
Il Papa ricorda lo spettacolo dell’Albero della vita rappresentato poco prima, con alcune scene coreografiche intervallate dalle testimonianze di una coppia, di un giovane ex tossicodipendente e di una ragazza palestinese. La rappresentazione è quella della vita di un ragazzo: dalla nascita in una famiglia alla tentazione del male fino al ritorno al bene, con il rosario e il crocifisso di nuovo nelle mani, e all’aiuto rivolto agli altri. Uno spettacolo che, sottolinea il Papa, ricorda come la salvezza che Gesù ci dona non sia una nuova “applicazione” da scaricare o “un esercizio mentale frutto di tecniche di crescita personale”, ma un invito a partecipare ad una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie.
Il Papa esorta quindi i giovani a dire “sì” a questa storia d’amore, come ha fatto Maria, che senza dubbio – nota Francesco – non era una influencer e non partecipava alle reti sociali dell’epoca eppure divenne “la donna che ha avuto maggiore influenza nella storia”. “Maria, la ‘influencer’ di Dio”, la chiama Francesco che spiega ai giovani cosa significhi concretamente questo “sì”. Non è stata un’accettazione passiva né un dire: “proviamo a vedere che succede”. E’ stato il “sì” di chi vuole rischiare e scommettere tutto, senza altra garanzia che “la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa”. Un “sì” più forte di dubbi e difficoltà, che ci sarebbero state ma non erano un motivo per dire “no”. Maria non ha comprato un’assicurazione sulla vita e per questo è l’influencer
di Dio, ribadisce.“Questa sera ascoltiamo anche come il ‘sì’ di Maria riecheggia e si moltiplica di generazione in generazione”, prosegue Francesco. A dimostrarlo sono proprio le testimonianze ascoltate all’inizio della Veglia, a partire da quella della coppia di sposi, Erika e Rogelio, madre e padre di una bimba con la sindrome di down diagnosticata prima della sua nascita, Ines, che oggi ha due anni e otto mesi. Prima del suo arrivo, di fronte alle notizie e alle difficoltà che si presentavano, “avete detto come Maria ‘avvenga per noi’”, ricorda Francesco: “avete deciso di amarla”. Davanti alla vita fragile, “avete creduto che il mondo non è soltanto per i forti”, dice il Papa ringraziandoli, accompagnato dagli applausi dei presenti. “Dire ‘sì’ al Signore significa avere il coraggio di abbracciare la vita come viene, con tutta la sua fragilità e piccolezza e molte volte persino con tutte le sue contraddizioni e mancanze di senso, con lo stesso amore con cui ci hanno parlato Erika e Rogelio”, sottolinea:
Prendere la vita come viene significa abbracciare la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri amici così come sono, anche con le loro fragilità e piccolezze. Abbracciare la vita si manifesta anche quando diamo il benvenuto a tutto ciò che non è perfetto, a tutto quello che non è né puro o né distillato, ma non per questo è meno degno di amore. Forse che qualcuno per il fatto di essere disabile o fragile non è degno d’amore? Vi chiedo: un disabile, una persona con una disabilità, una persona fragile è degna di amore? [rispondono: sì!] Non si sente bene … [rispondono ancora: sì!] Mi avete capito. Un’altra domanda, vediamo come mi rispondete: qualcuno per il fatto di essere straniero, di avere sbagliato, di essere malato o in una prigione non è degno d’amore? [rispondono: sì!]
È stato Gesù stesso infatti ad abbracciare il lebbroso come il fariseo e il peccatore e perfino, perdonandoli, coloro che lo stavano mettendo in croce. “Solo quello che si ama può essere salvato” e “solo quello che si abbraccia può essere trasformato”, sottolinea infatti il Papa: noi siamo stati salvati perché Lui ci ama e ci salva. Parole che ricordano gli stessi gesti di Francesco in questa GMG: gli incontri con i giovani, in particolare, venerdì, l’abbraccio con i giovani detenuti a Pacora, e domani quando vedrà i giovani malati assistiti alla Casa Hogar del Buen Samaritano Juan Diaz.
Il Papa vuole infatti ricordare ai giovani che “l’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità” e, proprio attraverso queste, Lui vuole scrivere questa storia d’amore. Come con Pietro dopo i suoi rinnegamenti, così il Signore “ci abbraccia sempre, sempre” dopo le nostre cadute, aiutandoci a rialzarci: “perché la vera caduta, quella che può rovinarci la vita – ricorda – è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare”. “Nell’arte dell’ascesa, la vittoria non è nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”, evidenzia Francesco citando un canto alpino.
E’ la testimonianza di Alfredo, giovane panamense di 20 anni, ad offrire poi al Papa lo spunto per riflettere sui problemi che vivono i ragazzi. Primo di 7 fratelli, a 16 anni per la difficile situazione economica della famiglia, deve lasciare gli studi e inizia a lavorare, ma anche quel progetto finisce e si ritrova nel tunnel della droga. Un percorso difficile, lungo il quale conosce anche il carcere, ma la luce torna sul suo cammino quando viene accolto dalla Fondazione Giovanni Paolo II. In fondo, Alfredo ha vissuto l’esperienza di vivere “senza lavoro, senza istruzione, senza comunità, senza famiglia”: un’esperienza che Papa Francesco riassume nei “quattro ‘senza’”, che uccidono, per cui la nostra vita resta senza radici e si secca. Una riflessione che deve spingere gli anziani ad interrogarsi su quali radici si stiano dando ai giovani:
Com’è facile criticare i giovani e passare il tempo mormorando, se li priviamo di opportunità lavorative, educative e comunitarie a cui aggrapparsi e sognare il futuro! Senza istruzione è difficile sognare il futuro; senza lavoro è molto difficile sognare il futuro; senza famiglia e senza comunità è quasi impossibile sognare il futuro. Perché sognare il futuro significa imparare a rispondere non solo perché vivo, ma per chi vivo, per chi vale la pena di spendere la mia vita. E questo dobbiamo offrirlo noi, noi anziani, dando loro lavoro, istruzione, comunità e opportunità.
Ai più grandi il Papa chiede: cosa fai per generare futuro per i giovani di oggi?
Una volta alcuni giovani gli chiesero perché oggi tanti ragazzi fanno fatica a credere o evitano di impegnarsi nella vita. Francesco domandò cosa ne pensassero loro e lo colpì particolarmente una risposta: “Molti di loro sentono che, a poco a poco, per gli altri hanno smesso di esistere, si sentono molte volte invisibili”. “E’ la cultura dell’abbandono”, spiega. Molti non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati: “Come penseranno che Dio esiste se loro stessi, questi giovani, da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli?”. Così li si sta spingendo a cadere preda della droga e di qualsiasi cosa che li possa distruggere. Per questo il Papa di nuovo esorta a domandarsi cosa facciamo per i giovani: “Li critico, o non mi interessa? Li aiuto, o non mi interessa? E’ vero che per me hanno smesso di esistere da tempo?”. Per sentirsi amati, infatti, non basta stare tutto il giorno connessi: sentirsi considerati è più grande che stare nella “rete”, serve trovare spazi in cui sentirsi “parte di una comunità più grande”.
Questo lo hanno capito molto bene i santi, come don Bosco che non andò a cercare i giovani in qualche posto lontano ma imparò a vedere quello che accadeva nella città e vide centinaia di bambini e giovani abbandonati, senza scuola, senza lavoro, senza una comunità. Molti criticavano quei giovani. Don Bosco, invece, li guardò con gli occhi di Dio e abbracciò la vita come si presentava e poi fece il secondo passo: creò per loro una comunità, una famiglia in cui, con lavoro e studio, si sentissero amati. I giovani infatti vanno guardati con gli occhi di Dio.
Il Papa pensa anche a tanti centri che in America Latina fanno proprio questo: sanno che per l’albero c’è speranza e può rinnovarsi e germogliare, sempre si può cominciare di nuovo “quando c’è una comunità”, il calore di una casa dove mettere radici e dove poter scoprire di essere amato e donato per una missione:
Il Signore si fa presente per mezzo di volti concreti. Dire “sì” come Maria a questa storia d’amore è dire “sì” ad essere strumenti per costruire, nei nostri quartieri, comunità ecclesiali capaci di percorrere le strade della città, di abbracciare e tessere nuove relazioni. Essere un “influencer” nel secolo XXI significa essere custodi delle radici, custodi di tutto ciò che impedisce alla nostra vita di diventare “gassosa” ed evaporare nel nulla. Voi anziani, siate custodi di tutto ciò che ci permette di sentirci parte gli uni degli altri, custodi di tutto ciò che ci permette di appartenerci reciprocamente.
Questa è stata l’esperienza di Nirmeen Odeh, la giovane cristiana palestinese, che ha parlato prima del suo discorso. La ragazza si riavvicina alla fede nel 2016 durante la GMG di Cracovia: “Ha incontrato una comunità viva, gioiosa” – sottolinea il Papa – che l’ha fatta sentire parte di essa.
Il gesuita cileno Sant’Alberto Hurtado, vissuto nella prima metà del ‘900, una volta si domandò: “Il progresso della società, sarà solo per arrivare a possedere l’ultimo modello di automobile o acquistare l’ultima tecnologia sul mercato? In questo consiste tutta la grandezza dell’uomo? Non c’è niente di più che vivere per questo?”. Interrogativi che Papa Francesco rivolge ai giovani nella Veglia della GMG 2019 per ribadire loro che sono stati creati per qualcosa di più grande, come hanno compreso Maria e le stesse persone che hanno dato la loro testimonianza stasera, e pertanto hanno detto: “Avvenga per me”.
Il Vangelo ci insegna che il mondo non sarà migliore perché ci saranno meno persone malate, meno persone deboli, meno persone fragili o anziane di cui occuparsi e neppure perché ci saranno meno peccatori, no: non sarà migliore per questo, iI mondo ma sarà migliore quando saranno di più le persone che, come questi amici che ci hanno parlato, sono disposte e hanno il coraggio di dare alla luce il credere nel domani e credere nella forza trasformatrice dell’amore di Dio. A voi giovani chiedo: volete essere “influencer” nello stile di Maria [rispondono: sì!], che ebbe il coraggio di dire “avvenga per me”? Solo l’amore ci rende più umani, non i litigi, non lo studio soltanto: solo l’amore ci rende più umani, più pieni, tutto il resto sono buoni ma vuoti placebo.
Avviandosi alla conclusione del suo forte discorso, il Papa si sofferma sull’adorazione al Santissimo, ultima parte della Veglia. Stando faccia a faccia con Gesù, il Papa invita i giovani ad aprirgli il cuore” perché “vi spinga – dice – ad abbracciare la vita con tutta la sua fragilità, con tutta la sua piccolezza”, ma anche la sua bellezza.
Non abbiate paura di dire a Gesù che anche voi desiderate partecipare alla sua storia d’amore nel mondo, che siete fatti per un “di più”!
E “in quel faccia a faccia” con Gesù, il Papa chiede ai giovani di pregare anche per lui: “perché anch’io non abbia paura di abbracciare la vita, perché sia capace di custodire le radici e dica con Maria: ‘Avvenga per me secondo la tua parola!’”.
A concludere la Veglia è l’adorazione al Santissimo. Sul mosaico di giovani di diversi Paesi e culture, scende il silenzio. Poi alcune preghiere, in varie lingue – per le famiglie, la vita religiosa, la vita sacerdotale e per i missionari – quindi la Benedizione con il Santissimo e, infine, la preghiera a Maria che durante questa notte continua ad accompagnare le vostre preghiere, ricorda Francesco alle migliaia di giovani che, in vista della Messa di domani, passeranno la notte al Campo San Juan Pablo II – Metro Park, con il corpo nei loro sacchi a pelo e il cuore in attesa.
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