Ieri venivano commentate separatamente sui giornali e sui siti web due notizie che sono invece strettamente collegate: da un lato, i dati ISTAT, che confermano l’ennesimo calo delle nascite (sia pure rallentato, nell’ultimo anno, rispetto ai crolli dei due o tre anni precedenti). Dall’altro, la notizia della proposta dolce-amara, da parte del Governo, di stabilizzare il bonus bebé – e questa sarebbe la parte dolce – e insieme di prevedere il suo dimezzamento, nel 2019 e nel 2020, passando da 80 Euro mensili a 40 Euro mensili.
E qui arriva l’amaro della notizia, ulteriormente aggravato da altri due elementi: il fatto che si dice “almeno fino al 2020” (e dopo? Che garanzie di finanziamento?), e il limite ISEE di 25.000 Euro. La platea dei beneficiari sarà quindi limitata, rispetto ai circa 470.000 neonati che potremmo aspettarci per il 2018. Inoltre, il bonus non è più erogato per i primi tre anni di vita, ma è stato circoscritto al solo primo anno di vita.
Così, il bilancio demografico rimane in profondo rosso, e le misure per intervenire su questo fenomeno, anziché essere di lungo periodo, consistenti e permanenti, si presentano ancora marginali e non strutturali. Davvero non si riesce a convincere chi ha responsabilità di Governo che l’emergenza demografica è una priorità strategica per la sostenibilità complessiva del Paese, e il gelo demografico va contrastato con interventi drastici, non con piccole consolazioni.
Abbiamo avuto – fortunatamente – decise strategie di intervento pubblico per proteggere settori economici in crisi, negli ultimi vent’anni: quante risorse pubbliche per l’Alitalia? Quante per le varie ILVA? Quante per il sistema bancario? Quante per tenere in piedi ampie parti della pubblica amministrazione? Interventi con esiti alterni, con diversa efficacia: ma mai, negli ultimi vent’anni, la priorità “bambini” è arrivata tra le priorità dell’agenda della politica. E’ una questione privata, da lasciare alla libera iniziativa dei cittadini.
Peccato che la progettualità di chi mette al mondo un figlio non può non avere un orizzonte temporale di almeno venticinque anni, in cui i genitori sanno che dovranno investire tempo, energie, risorse economiche, affettive, relazionali, per far diventare adulto il proprio figlio. E invece la politica oggi pesa l’impatto delle proprie scelte sul piccolo cabotaggio, sulla prossima scadenza elettorale, o peggio, sul grado di consenso immediato che una dichiarazione o una promessa di intervento fanno ottenere nei sondaggi di opinione, in una infinita campagna pre-elettorale. Una politica miope, che non vede nemmeno nel medio periodo, è una politica incapace di costruire il futuro del sistema Paese. E in questo agire senza respiro, anche le famiglie che vorrebbero scommettere su un figlio, e che costruirebbero così un pezzetto di questo futuro, si trovano senz’aria, costrette a rimandare, o addirittura a rinunciare ad un figlio in più.
In sintesi, l’apparente stabilizzazione del bonus bebé appare più un intervento simbolico, beffardo nel suo saper indicare la direzione giusta (il sostegno economico diretto alla famiglia, alla nascita del figlio), ma illusorio nel definire l’entità del sostegno (40 Euro al mese; bastano per i pannolini?), e soprattutto nel proporsi come un intervento effimero, che dopo due o tre anni svanirà, nelle prossime campagne elettorali. A cui, però, andranno a votare sempre meno elettori: cioè, sempre meno famiglie, forse anche perché stanche di essere illuse e deluse.
Fonte www.famigliacristiana.it