Si sono conclusi questa mattina gli Esercizi Spirituali di Quaresima con il Papa e la Curia Romana, nella Casa Divin Maestro dei paoli, ad Ariccia.
A concludere l’intensa settimana di preghiera è stato Papa Francesco che ha voluto rivolgere uno speciale ringraziamento al carmelitano padre Bruno Secondin che ha tenuto le meditazioni quotidiane.
“A nome di tutti, anche mio, voglio ringraziare il Padre, il suo lavoro fra noi di Esercizi”, ha detto il Pontefice, aggiungendo: “Non è facile dare Esercizi ai sacerdoti! Siamo un po’ complicati tutti, ma Lei è riuscito a seminare”.
“Che il Signore faccia crescere questi semi che Lei ci ha dato”, ha quindi affermato Francesco, augurandosi e augurando a tutti “che possiamo uscire di qua con un pezzetto del mantello di Elia, in mano e nel cuore. Grazie, Padre!”.
La storia di Elia era un “tema nuovo” per gli esercizi della Curia, l’ho scelto per questo, spiega padre Bruno Secondin. In particolare, è stato il dinamismo che come una corrente attraversa parole e azioni del profeta a spingere il predicatore a proporlo come figura di riferimento delle sue meditazioni: “Elia è un profeta che cammina, che vive la sua missione alle frontiere. Si sposta fino al Sinai, va fino in Libano. Quindi, è un profeta in cammino. Mi sembrava molto adatto proprio per questo momento e questo Pontificato: la figura di un profeta – che poi è il grande tra i profeti – che però vive la sua missione affrontando qua e là, all’improvviso, un’esperienza di Dio, di richiamo all’alleanza, alla fedeltà. Quindi mi sembrava un figura molto interessante e ho pensato di costruire intorno a lui questo”.
Gli episodi della vita di Elia, indica ancora padre Secondin, sono emblematici di cosa voglia dire per una persona incontrare Dio e veder ribaltato il proprio modo di intendere la vita. Dai primi passi del suo villaggio fino alla lotta cruda con gli idolatri del dio Baal, dall’idea di aver contribuito al trionfo di Dio al sentirsi braccato come un animale nel deserto, tra sconforto e speranza, Elia compie un cammino progressivo di libertà, di trasparenza interiore: “Partire dall’esteriorità, uscire dal villaggio, entrare nella profondità della propria identità, incontrarsi con Dio e incontrare anche lo scontro con ciò che è falsa identità dell’esperienza religiosa della Fede, per essere trasformati progressivamente da un Dio che è ben diverso da quello che ci siamo messi in testa, che è altrove rispetto ai nostri villaggi, per purificare dal profondo ciò che viviamo, ciò che abbiamo vissuto e ritrovare il senso dell’appartenere a Lui”. Raccogliere il mantello Elia resta coinvolto in situazioni in cui deve difendere dei poveri dalle mire di alcuni profittatori. Il cuore che Dio gli ha cambiato lo ha reso pronto – afferma padre Secondin – alla solidarietà, all’impegno per la giustizia. L’ultima scena lo vede attorniato da gruppetti di discepoli che si chiamano “figli dei profeti” e lui – uomo coraggioso ma scorbutico – è immerso adesso in un clima di fraternità: “Quando sale verso il cielo, lascia cadere il suo mantello, tipico vestimento di Elia, un classico simbolo, lo prende il suo discepolo Eliseo e va a congiungersi con gli altri gruppetti. Riconoscono su di lui lo spirito del profeta Elia e perciò il mantello non può essere lasciato cadere; bisogna sempre raccoglierlo, aprire strade nuove, metterci davanti alla verità di noi stessi e Dio, alle sfide dell’ingiustizia delle manipolazioni e della fatica dei poveri per ritornare a creare cammini di fraternità”.
A cura di Redazione Papaboys fonti: Zenit e Avvenire
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