«Il nostro partito rispetta gli obblighi che derivano dalla partecipazione della Grecia alle istituzioni europee. Ma l’austerità non fa parte dei trattati di fondazione dell’Ue». La bordata di Alexis Tsipras risuona nella vasta sala dello Zappeion, il grande palazzo in stile neoclassico progettato dal danese Theophil Hansen in occasione delle prime olimpiadi moderne.
Un fuoco di sbarramento che risponde al “bazooka” della Bce annunciato due giorni fa da Mario Draghi con un tono che non lascia spazio ai dubbi. Ecco un florilegio dello Tsipras-pensiero: «Il mio primo viaggio all’estero non sarà a Berlino, sarà a Cipro». «La Merkel? Non è più speciale di altri leader Ue». «È inaccettabile che un Paese dell’Unione Europea sia gestito da impiegati di secondo livello della troika». Picchia duro, il leader di Syriza. La sera precedente aveva chiuso il comizio in piazza Omonia sulle note di «First we take Manhattan, then we take Berlin» di Leonard Cohen con vaghi accenti utopici; ieri, a 36 ore dall’apertura delle urne, ha parlato con precisione e chiarezza: fine del Memorandum (l’accordo che ha garantito alla Grecia 240 miliardi di prestiti ma con un costo sociale devastante), taglio del debito greco e avvio di un piano di ricostruzione nazionale da 1.882 miliardi che prevede tra l’altro elettricità gratis e sussidi alimentari a 300mila famiglie povere, 30mila appartamenti con un contributo per gli affitti ai senza tetto, assistenza medica e farmaceutica gratis per disoccupati non assicurati oltre a una tessera speciale per i trasporti pubblici.
«Tsipras – lo rimbecca Samaras – è al servizio della lobby della dracma: con lui la Grecia farebbe la fine di Cipro con il disastro delle banche ». A dispetto delle esaltanti previsioni della vigilia, le nude cifre ci dicono che nessuno, nemmeno Syriza potrà agguantare la maggioranza assoluta. Al partito del giovane Tsipras viene accreditato un vantaggio di 6,6 punti sul diretto concorrente Nea Dimokratia, la formazione del premier Antonis Samaras. Ma stando ai sondaggi Syriza otterrebbe solo il 32,5% delle preferenze contro il 26,5% di Nea Dimokratia. Seguono To Potami (Il Fiume, di centro-sinistra) con il 5,8%, il partito filo-nazista Chrysi Avghi’ (Alba Dorata) con il 5%, il Partito Comunista di Grecia con il 5%, il Pasok (socialista) con il 4,4%, Greci Indipendenti, con il 3,4%, e il partito Movimento dei Socialisti Democratici (Kinima) fondato di recente dall’ex premier socialista Giorgos Papandréou con il 3%.
Un altro sondaggio peraltro diminuisce decisamente il vantaggio di Syriza: solo un 2% o poco più. In ogni caso chi vince dovrà trovare alleati. E nel caso di Syriza i comunisti del Kke hanno già detto «no, grazie. Tsipras è la finta sinistra, d’accordo con i poteri forti». Chi, allora? Quel che resta del Pasok, che varrebbe il 4-5%, o Kinima e i centristi di To Potami, fondato dal giornalista Stavros Theodorakis. Intanto nel retrobottega della società (letteralmente, visto che quasi tutti i dirigenti del partito a cominciare dal leader Nikos Michaloliakos sono agli arresti), Alba Dorata fa comizi telefonici dal carcere e riunioni carbonare. Punta a oltre il 5% e a diventare il terzo partito. Ma i sondaggi la danno al 7%, nonostante tutto.
Di Giorgio Ferrari per Avvenire
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