Per tre volte durante il viaggio di sabato 6 giugno a Sarajevo, Francesco è tornato a parlare di questo tema. Aggiungendo qualche elemento in più.
Per tre volte, durante la giornata di sabato 6 giugno, Papa Francesco ha parlato del traffico di armi che fomenta la guerra. Le sue parole – presenti sia nel testo scritto dell’omelia che in altri due interventi «a braccio» – approfondiscono accenni già fatti in precedenza.
Parlando della pace come «il progetto di Dio», da Sarajevo, città simbolo di convivenza tra religioni ed etnie diverse, ma anche di guerre fratricide che hanno visto cristiani perseguitare altri cristiani, cristiani perseguitare musulmani e musulmani perseguitare cristiani, il Papa ha detto:
«Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra». Le parole sulla terza guerra mondiale «a pezzi» non sono nuove, Francesco ne aveva parlato per la prima volta l’estate scorsa, di ritorno dal viaggio in Corea.
«C’è chi questo clima – ha aggiunto nell’omelia della messa celebrata allo stadio di Sarajevo – vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi». E qui Francesco, citando «coloro che cercano lo scontro», è sembrato includere non soltanto il fanatismo fondamentalista islamico oggi d’attualità per ciò che sta accadendo in Medio Oriente, ma anche coloro che questo scontro lo fomentano cercando di ammantare con contenuti ideologici interessi economici. Cioè coloro che «speculano» sulle guerre per vendere armi.
Ormai a conclusione del suo viaggio di undici ore nella capitale bosniaca, Francesco ha risposto ad alcune domande che gli sono state presentate da alcuni giovani all’incontro tenutosi nel Centro diocesano giovanile «Giovanni Paolo II». E ha detto: «Tutti parlano della pace: alcuni potenti della terra parlano e dicono belle cose sulla pace, ma sotto vendono le armi! Da voi io aspetto onestà, onestà fra quello che pensate, quello che sentite e quello che fate: le tre cose insieme. Il contrario si chiama ipocrisia!». L’elemento significativo qui è l’accenno ai potenti che parlano ipocritamente di pace ma in realtà non costruiscono la pace. Speculano invece sulla guerra, vendendo sottobanco le armi. Parole che danno corpo alle domande su come abbiano potuto, per esempio, le milizie dell’Is avere così tante armi da permettere loro di conquistare un’area così vasta. Da dove sono arrivate? Da quali confini sono passate? Chi le ha vendute o le ha fatte arrivare e perché? Domande da rivolgere a diversi Paesi dell’area, magari alleati dell’Occidente.
Infine, una domanda sull’argomento è stata rivolta al Papa anche durante il breve dialogo con i cronisti sul volo di ritorno da Sarajevo a Roma, la sera di sabato 6 giugno. «Sì c’è l’ipocrisia, sempre! – ha risposto Francesco – Per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace: si deve fare la pace! E chi parla soltanto di pace e non fa la pace è in contraddizione; e chi parla di pace e favorisce la guerra – per esempio con la vendita delle armi – è un ipocrita. È così semplice…».
Quanto ai precedenti, basta qui ricordare le parole di Francesco nell’intervista con il giornalista Henrique Cymerman, pubblicata sul quotidiano catalano «La Vanguardia» il 12 giugno 2014: «Scartiamo un’intera generazione per mantenere un sistema economico che non regge più, un sistema che per sopravvivere deve fare la guerra, come hanno fatto sempre i grandi imperi. Ma, visto che non si può fare la terza guerra mondiale, allora si fanno guerre locali. E questo cosa significa? Che si fabbricano e si vendono armi, e così facendo i bilanci delle economie idolatriche, le grandi economie mondiali che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro, ovviamente si sanano». Frasi che provocarono l’accusa al Papa di essere «leninista» da parte dell’«Economist».
Di Andrea Tornielli per Vatican Insider (La Stampa)