Un giorno la fedele compagna della sua vita, Emilia Spilmann, che lui chiamava brevemente sempre «Mi», una donna amabile e dolcissima che aveva conosciuto sui banchi del liceo classico «Tasso» di Roma, manifestò il desiderio di conoscere Padre Pio da Pietrelcina.
Riluttante Guglielmo Sanguinetti, nato a Parma nel 1894, ma da 15 anni medico condotto a Borgo San Lorenzo, in Mugello, non ne voleva sapere, ma dietro l’insistenza della moglie acconsentì anche se a malincuore. Lui il «mangiapreti» da un frate! «Vengo solo per farti da autista», disse alla moglie. Il lungo viaggio con la sua Fiat Balilla tre marce, l’arrivo a San Giovanni Rotondo (Foggia), era il 27 maggio 1935, la conoscenza di Padre Pio, la visione di una sofferenza indicibile. Tornò a Borgo San Lorenzo completamente trasformato, una conversione totale per mezzo di quel frate, che salutandolo gli aveva battuto una mano sulla spalla, dicendogli che sarebbe ritornato. E Sanguinetti il massone emiliano, destinato molto probabilmente ad una brillante carriera di docente universitario, ritornò, invece, a San Giovanni Rotondo lasciando tutto e tutti, agi e beni. Divenne il «dottore» toscano di aspetto burbero e severo, ma di animo generoso come quando era nel suo Mugello a visitare gli ammalati sul Monte Giovi o sui contrafforti appenninici del passo della Colla, ma con un ingrediente in più: la fede ritrovata.
«Le mie giornate – così scrive all’amico dott. Bruno Cesarini – si fuggono con rapidità paurosa, devo comparire nel cantiere dei lavori dell’Ospedale di Casa Sollievo della Sofferenza, devo inforcare una macchina o il camioncino per contrattare, acquistare vari materiali per la costruzione e poi i conti la partita doppia (la mia bestia nera!), i permessi, i documenti comunali e statali, le ditte, gli enti, le aziende, quanto basterebbe a far perdere la pazienza ed amare la pastorizia». Ma ecco nel proseguo della lettera il vero senso della conversione del mangiapreti emiliano toscano: «chiudo la mia giornata, con una visita a Padre Pio. È questa la vera ricompensa delle mie fatiche. Egli a volte mi chiama “camionista”, a volte “facchino”, a volte “carrettiere” e ride di questa mia nuova attività alla quale dedico tutto il mio entusiasmo di questa mia terza giovinezza! Ma spesso le conversazioni con lui (Padre Pio), si svolgono sui problemi dello spirito e salgono allora molto in alto in un orizzonte che è stratosferico perché non vi esistono più nubi o tempeste e tutto è sereno e luminoso. Si respira allora tutta l’anima e ci si sente inondati di pace».
Sulla soglia dei 60 anni con dieci, cento, mille cose da fare contornato da tantissimi amici che erano andati con lui a San Giovanni Rotondo (anche Giovangualberto Alessandri che fu Pretore a Borgo San Lorenzo ai tempi di Sanguinetti), improvvisamente si accasciò a terra, la morte lo ghermì repentinamente a San Giovanni Rotondo, ma il suo grande traguardo lo aveva raggiunto, tutto l’Ospedale fu anche opera sua. Infatti sin da prima della Seconda Guerra mondiale, quel grandioso progetto che era l’Ospedale, era già pronto, e con fervore dal 9 gennaio 1940 il Comitato composto dal dott. Carlo Kisvarday (segretario), dal dott. Mario Sanvico (cassiere responsabile), da Ida Seitz (direttrice dell’organizzazione interna), e dallo stesso Sanguinetti, (responsabile tecnico e medico), era già al lavoro per la sua esecuzione.
Il 14 gennaio 1940, Padre Pio dava all’Opera il nome definitivo di «Casa Sollievo della Sofferenza». Sanguinetti si era speso più volte tra San Giovanni Rotondo, Roma e probabilmente anche Frattamaggiore (Napoli), la città di un bravissimo e giovanissimo architetto, Sirio Giametta, che, a giudicare da alcuni importanti indizi, redasse il primo progetto dell’Ospedale. Sanguinetti e Sirio Giametta, inoltre dovettero mettere a posto le carte ed i permessi, girare tra i Ministeri a Roma: un assiduo e febbrile impegno che però fu interrotto dall’entrata in guerra dell’Italia, avvenuta il 10 giugno 1940. E così la costruzione dell’opera fu prorogata di anno in anno fino a quando nel 1945 le attività poterono lentamente riprendere, il 5 ottobre 1946, a Foggia, davanti al notaio, fu costituita la Società per azioni «Rifugio degli Afflitti» con il capitale di un milione di lire, definendone, tra l’altro anche la finalità, cioè la costruzione di un Ospedale.
Nei giorni successivi venne scelta definitivamente anche l’area fabbricabile, e come ha fatto notare padre Derobert, fu scelto proprio il posto preciso in cui il 2 febbraio 1575, San Camillo de’ Lellis si convertì (fino ad allora era stato un ricco avventuriero rovinato dal gioco). Si stabilì così un piano per i lavori architettonici con l’aiuto di Sanguinetti, che dovette operarsi di nuovo tra uffici, Ministeri, Enti, permessi e carte di ogni genere. Poi la prima pietra: era il 19 maggio 1947. E così tutto finalmente ebbe inizio, fino al completamento dei lavori e poi all’inaugurazione del Poliambulatorio il 25 luglio 1954.
Sanguinetti definiva se stesso e gli altri collaboratori come «Formiche di San Francesco», e poi ancora ricorda: «Eravamo consapevoli di essere a servizio di un’idea che era più grande di noi, di cui le nostre persone erano semplici trasmettitori». Sanguinetti si occupò anche di stampare il Bollettino della Casa Sollievo, il cui primo numero uscì nel settembre 1949. Il sopraggiungere della sua morte, improvvisa e inaspettata, fu anche per Padre Pio una perdita tristissima. Era il 6 settembre del 1954.
Dopo due anni, il 5 maggio 1956, veniva finalmente inaugurato il grandioso Ospedale di Casa Sollievo della Sofferenza, già precedentemente battezzato Ospedale «Fiorello La Guardia». Fra le migliaia di persone presenti a San Giovanni Rotondo accanto a Padre Pio, non c’era Guglielmo Sanguinetti.
Fonte www.toscanaoggi.it/Aldo Giovannini
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