È l’interrogativo che si pongono molti educatori che sperimentano una crescente difficoltà nel vivere e nel dare efficacia alla loro azione educativa. Genitori, insegnanti, sacerdoti, catechisti, pur nella diversità dei loro ruoli, avvertono come sia difficile entrare in comunicazione con le nuove generazioni e offrire loro proposte autorevoli e interessanti che aprano orizzonti significativi e credibili per una vita realizzata.
Mentre aumentano le difficoltà e la frustrazione, diminuisce la motivazione ad educare, anzi – come notano i vescovi italiani negli Orientamenti pastorali per i prossimi dieci anni – si diffonde lo scetticismo riguardo alla stessa possibilità di educare e i progetti educativi divengono programmi a breve termine (cfr Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 5); vi è soprattutto una minore passione educativa, che si manifesta nel venir meno della disponibilità ad assumere spontaneamente la scelta di dedicarsi da educatori ai più giovani.
Si avverte oggi il rischio che vi è nella crescita delle giovani generazioni, immerse in un contesto che pare essere travolto dai rapidi e accelerati cambiamenti in atto. Comportamenti problematici, episodi di bullismo nella scuola, fatti di violenza nelle città segnalano il disagio dei giovani, quello che qualche autore fa risalire al vuoto interiore, definito “ospite inquietante” (cfr U. Galimberti, L’ospite inquietante
, Feltrinelli, Milano 2007). Il relativismo e il nichilismo, da posizione culturale, sono divenuti espressioni esistenziali di un vuoto che genera noia, mancanza di senso, solitudine, sofferenza profonda.Sono diverse le denominazioni cui si ricorre per identificare questa situazione. In ciascuna di esse si riflette un atteggiamento culturale e spirituale, e una maggiore o minore fiducia nel futuro e nei giovani e nell’esito del momento che si sta vivendo: crisi, quese ione, catastrofe, sfida educativa.
Nel linguaggio comune è invalsa oggi l’espressione emergenza educativa; essa dice la percezione della gravità di questo momento e lo interpreta caricandolo di toni pessimistici e allarmati, con il rischio che questo paralizzi gli educatori per il senso di impotenza che alimenta in essi.
In un volume di interviste dedicato al tema, questa espressione viene affrontata criticamente. Lo fa ad esempio Raffaella Lafrate, docente presso la Facoltà di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che afferma: «Quando si usa la parola “emergenza”, il rischio è quello di evocare “immagini catastrofiche”, situazioni nelle quali occorre “correre ai ripari” […] . A mio parere non c’è proprio da “correre ai ripari”, quanto è necessario piuttosto “uscire dal riparo” delle abitudini consolidate e rassicuranti a cui da troppo tempo probabilmente noi adulti ci siamo adattati, e sfidare in modo creativo e fiducioso quella che è a mio parere un'”emergenza’ nel senso etimologico del “venire a galla”, del “venire in superficie del “rivelarsi” di una realtà (quella educativa) ormai da troppo tempo relegata al “si è sempre fatto così” o — peggio — delegata con un “ditemi cosa devo fare o con un “pensateci voi”» (AA.VV., Educazione. Un’emergenza?, Editrice La Scuola, Brescia 2008, pp. 73-74).
Dunque, se di emergenza occorre parlare, essa va intesa come l’emergere” della questione, resa oggetto di nuova attenzione. È questo il parere anche di Franco Venturella, dirigente scolastico provinciale, già presidente del Movimento di impegno educativo dell’Azione cattolica, che afferma: «Non mi piace il termine emergenza, come se si trattasse di un fatto che ci piombi addosso all’improvviso; vedo piuttosto i tratti di una crisi profonda, maturata progressivamente, che presenta motivazioni e caratteristiche complesse, in quanto investe la responsabilità della società nel suo insieme» (ivi, p. 141).
L’espressione “emergenza educativa”, che certo dà l’idea della serietà e dell’urgenza dell’attuale situazione, appare poco efficace per capire e soprattutto per affrontare le difficoltà che essa comporta. Il rischio è che assumere questa categoria interpretativa induca a quegli atteggiamenti deresponsabilizzanti che si prendono quando si ha l’impressione che non ci sia altro da fare che rimediare ai danni più gravi.
Ritengo che l’espressione che meglio può interpretare l’attuale contingenza sia quella di crisi dei processi educativi tradizionali, sopraffatti dai profondi e accelerati cambiamenti che stanno caratterizzando la nostra società e che danno alla generazione adulta un senso di spaesamento e di stanchezza esistenziale che si riflette anche sul rapporto con i più giovani.
La crisi dei processi tradizionali reca con sé una sfida difficile e appassionante: quella ad interpretare in maniera nuova e creativa una situazione inedita.
Davanti alla problematicità di educare, i genitori e gli adulti in genere si chiedono: che fare? come uscire dalle attuali difficoltà? Forse qualcuno amerebbe avere a disposizione un prontuario con la soluzione a tutti i problemi; in effetti, questo sarebbe un contraddire in radice l’educazione e la sua natura: esperienza di incontro di libertà per la libertà.
Di fronte all’attuale crisi, ciò che si può fare è offrire un contributo a ripensare il senso dell’educazione, perché attraverso la riappropriazione dei significati di fondo ciascuno trovi la strada personale per realizzarsi in uno dei compiti che più di altri esprimono e danno forma alla maturità di un adulto. Vi è oggi la possibilità e la responsabilità di impadronirsi in maniera nuova del senso di un’esperienza che in passato era affidata a tanti automatismi che impedivano di cogliere di essa tutto il valore e la grandezza umana. Questo significa che c’è qualche guadagno possibile nelle contingenze del momento: l’opportunità di recuperare un senso più alto e più maturo all’educazione e un invito pressante a riscoprirne la responsabilità.
Ciò che un tempo poteva avvenire quasi per spontaneità naturale, oggi può solo essere frutto di scelta, dentro una nuova consapevolezza. È un percorso più rischioso e difficile, ma certo più ricco, più creativo, più personale.
Occorre quindi favorire una riflessione che aiuti a ritrovare il senso dell’educazione e solleciti verso l’elaborazione di un modello educativo adatto a questo tempo, e al momento stesso che consenta di superare la percezione di fatica che prende tutti gli educatori davanti al loro compito, per recuperare dell’educazione anche la bellezza e l’appassionante intensità umana.
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