Scott Marr, padre di quattro figli ed ex speaker sportivo nel Nebraska, era stato ritenuto quasi cerebralmente morto e dopo appena due giorni in ospedale gli avevano staccato la ventilazione assistita.
Oggi sta bene e ringrazia Dio, ma la sua storia conferma quanto sia pericoloso il concetto di “morte cerebrale”.
Era stato dato praticamente per morto, pur con gli organi ancora funzionanti, e dopo appena due giorni in ospedale gli avevano staccato la macchina che lo aiutava a respirare. I suoi cari stavano perfino già pianificando la cremazione quando Scott Marr, un ex speaker di pallacanestro del Nebraska e padre di quattro figli, si è improvvisamente risvegliato e rimesso a parlare. I familiari lo hanno subito chiamato «Miracle man» e lui, 61 anni, ha ringraziato Dio per il suo sorprendente recupero. «Tutta questa faccenda è stata un miracolo di Dio. Non sono morto, non devo morire. Sono tornato qui e spero di dare un po’ di conforto alle persone», ha detto Marr parlando alla Kmtv, circondato dai suoi affetti e seduto tranquillamente sul divano.
«Non sono una persona estremamente religiosa. Non vado in chiesa ogni domenica, ma credo in Dio. Credo con tutto il mio cuore. E adesso questa è proprio la prova per me che tutto ciò che ho sempre sentito è vero. Che Lui mi ama. Che Lui è proprio lì per me.
È stato praticamente un miracolo». Marr era stato portato d’urgenza al Methodist Hospital di Omaha dopo che la notte di mercoledì 12 dicembre era stato trovato a letto immobile e privo di conoscenza, ma mentre ancora respirava. Dopo i primi controlli i medici avevano stabilito – sbagliando – che Marr avesse avuto un infarto al tronco cerebrale, con associato gonfiore che avrebbe dovuto portare a un’anossia cerebrale. In teoria. «Pensavamo che questo non fosse un processo da cui poter recuperare», ha detto la dottoressa Rebecca Runge, poiché ai medici dell’ospedale metodista sembrava che Marr fosse destinato alla «morte cerebrale»: facciamo intanto notare che questo concetto è pericoloso e fallace di per sé, e per di più in questo caso la «morte cerebrale» non era nemmeno stata accertata, ma era solo presunta.
Ma a dispetto dell’approssimazione della diagnosi, i dottori hanno indicato alla famiglia che c’era poco da fare e di prepararsi a dare l’addio al loro caro, che tra l’altro – stando a quanto riferito dalla figlia Preston – aveva detto in passato: «Non voglio che voi ragazzi mi vediate disteso su un letto d’ospedale, disteso in una casa di cura», parole che purtroppo – come confermano i risvolti di questa vicenda, di cui grazie a Dio ci troviamo a descrivere un lieto fine – sono figlie della mentalità eutanasica che ha pervaso le società occidentali, dopo che è stata attaccata la visione cristiana sull’infinita preziosità, nella gioia e nel dolore, di ogni istante della vita umana. Perciò la decisione di staccare l’ausilio per la respirazione è stata presa in men che non si dica. Già il 13 dicembre la figlia Preston, infermiera di professione, pubblicava, in preda allo sconforto, un post su Facebook corredato da una foto con il padre: «Cosa dovrei fare senza di te», post seguito da molti commenti di risposta con scritte del tipo «mi dispiace per la tua perdita».
Come scriverà la stessa Preston qualche giorno più tardi in un altro post: «Ci era stato detto che era vicino a essere cerebralmente morto e ci erano state date poche opzioni diverse da un neurochirurgo molto fidato, che è stato anche un amico di famiglia per anni. Nelle sue parole: Conosco Scott e se ci fosse stato qualcosa da poter fare per risolvere il problema, lo avrei fatto». Ai familiari era stato inoltre detto che Marr aveva espresso il consenso per la donazione degli organi ma a seguito delle valutazioni mediche «mentre stavamo dicendo i nostri arrivederci, ci è stato detto che non era un candidato idoneo per la donazione di organi». Poco dopo c’era stata l’estubazione. «Ci è stato detto che sarebbe morto rapidamente, verosimilmente in pochi minuti, per quanto ne sapevano», continua il post di Preston. «Dopo essere stato estubato, ha continuato a respirare da solo con il suo ossigeno costantemente al di sopra del 90%».
Arrivata la notte, i familiari erano tornati a casa chiedendo alle infermiere di essere chiamati in caso di novità «perché potevamo essere lì in pochi minuti se ci fosse stato un declino… mentre arrivava giovedì [14 dicembre, ndr] e stavamo progettando di scegliere un obitorio per la cremazione, abbiamo deciso invece di tornare in ospedale per stare di nuovo con lui. Mentre eravamo sulla strada, nostra zia ci ha detto che lo sentiva più reattivo. Quando siamo arrivati, lasciatecelo dire… mai provato niente di simile in tutte le nostre vite». Scott Marr era tornato a parlare come se niente fosse, tanto da sbalordire il neurochirurgo che si era precipitato in ospedale appena saputa la notizia. I test successivi hanno mostrato che non aveva patito un infarto bensì una sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (Pres, secondo l’acronimo in inglese).
Sempre alla Kmtv, Scott ha spiegato che durante i due giorni in cui era stato dato per morto aveva sognato il defunto padre mentre camminava lungo una via del luogo. «Lui ha detto: Cosa fai qui? E io ho detto che stavo cercando di lavorare e lui ha detto che non c’è lavoro qui, farai meglio a tornare a casa». Scott ha interpretato la visione onirica come un segno che il suo tempo sulla terra dovesse ancora compiersi. Così appunto è stato, e oggi Scott e la sua famiglia possono ringraziare Dio per il dono ricevuto. Rimane però un insegnamento da non dimenticare.
La sua vicenda mostra ancora una volta quanto sia ingannevole e utilitaristica la definizione di morte cerebrale e quali ricadute abbia avuto nell’ultimo mezzo secolo, come Benedetta Frigerio ha avuto modo di approfondire su questo quotidiano, ricordando come la diffusione del concetto di “morte cerebrale” sia collegato agli abusi nel campo della donazione e dell’espianto di organi, espianto che secondo il magistero della Chiesa è moralmente lecito solo previo esplicito consenso e solo se la persona è certamente defunta, ex cadavere, secondo la formula usata da Benedetto XVI («i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata»); condizione di certezza che appunto manca in presenza di un’asserita “morte” cerebrale.
Al di là del fatto che alla fine fosse stato ritenuto non idoneo per donare gli organi, nel caso di Scott Marr la condizione della “morte” cerebrale non si era nemmeno verificata, ma si sosteneva che fosse “vicino” a quella condizione, il che dovrebbe far riflettere sul piano inclinato che si è venuto a creare e sull’estrema facilità con cui si rinuncia ad assicurare le cure di base – la ventilazione assistita lo è – ai malati.
di Ermes Dovico per La Nuova Bussola Quotidiana
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