Il gruppo politico-militare libanese Hezbollah “non vuole una guerra con Israele, ma non ha paura ed è pronta a combattere. Noi non cerchiamo un conflitto aperto, ma abbiamo il diritto di rispondere alle aggressioni ovunque si verifichino”. Lo ha detto il leader sciita Hassan Nasrallah commemorando a Beirut le vittime del bombardamento aereo dello scorso 18 gennaio.
Avvenuti al confine fra Siria, Israele e Libano, gli attacchi reciproci fra Hezbollah e Israele hanno provocato diverse vittime. L’esercito israeliano ha aumentato il numero delle truppe presenti, ma agli abitanti sulla frontiera è stato dato il permesso di ritornare alle loro case. Il primo attacco è stato lanciato contro un convoglio di Israele, colpito da un missile Hezbollah che ha ucciso due soldati e ferito altri sette.
Le forze israeliane hanno risposto lanciando mortai nel sud Libano. Un soldato dell’Unifil, la forza di pace dell’Onu, è stato ucciso. Si tratta del caporale Francisco Javier Soria Toledo, 36 anni. Originario di Malaga, partecipava per la seconda volta a una missione dell’Unifil. L’ambasciatore spagnolo all’Onu, Roman Oyarzun Marchesi accusa Israele della sua morte e ha chiesto un’inchiesta approfondita sull’uccisione.
Alla base del raid contro il convoglio c’è un altro attacco – riferisce l’agenzia Asianews, avvenuto il 18 gennaio, in cui sono morti sei membri di Hezbollah e un generale iraniano. Secondo gli sciiti, dietro c’è la mano di Israele: “Non vogliamo una guerra – ha ripetuto Nasrallah ai funerali – ma non ne abbiamo paura. Dobbiamo distinguere fra questi due fatti e vogliamo che Israele faccia lo stesso”.
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