La scorsa settimana, di giovedì sera, sono stata ad ascoltare, nella parrocchia romana S. Maria Immacolata e San Vincenzo de Paoli di Tor Sapienza, la bella conferenza-concerto del cantante Giuseppe Povia e dell’avvocato Gianfranco Amato.
INVERTIAMO LA ROTTA
Due personalità così diverse hanno messo su una serata di informazione e musica, infotainment direbbero i colleghi anglosassoni, davvero speciale che portano in tour per l’Italia (gratuitamente, richiedendo soltanto un luogo adeguato dove poter esibirsi e la strumentazione necessaria) dal titolo emblematico: “Invertiamo la rotta. Contro la dittatura del pensiero unico”.
Tantissimi e “pericolosi” i temi affrontati e, ahinoi!, attuali più che mai: gender, unioni civili, stepchild adoption, utero in affitto, fantomatici corsi di educazione sessuale scolastici a favore della parità di genere e contro i bullismo, che poi si rivelano, puntualmente, di tutt’altra specie. Colpi duri e subdoli inferti a bambini, ragazzi, famiglie, alla dignità e sacralità dell’uomo: uno tsunami antropologico.
Prima dell’inizio dell’evento, con un cielo bellissimo e terso riempito dalle chiacchiere dei tanti giovani presenti, mi sono avvicinata per un saluto e poi ho chiesto al cantautore come fosse cambiato il suo rapporto con la fede, dopo aver cominciato quest’avventura con l’avvocato Amato.
Gianfranco è il segretario nazionale del Popolo della Famiglia, presidente dei Giuristi per la Vita, promotore degli ultimi due Family Day, invitato due volte in Messico, nel novembre del 2016 dalla Conferenza Episcopale Messicana per sostenere la bocciatura della legge sul matrimonio egualitario e, pochi giorni fa, per tenere una serie di convegni e incontri sul tema del gender. Alla mia domanda Giuseppe Povia ha risposto lasciandomi stupita, e per questo ho pensato di condividere la scoperta della sua esperienza con voi.
Con estrema semplicità e naturalezza, scevro completamente da quella puzza sotto il naso che hanno i personaggi famosi, il cantante, vincitore nel 2006 della 56° Edizione del Festival di Sanremo con la canzone “Vorrei avere il becco”, mi ha risposto:
«Io sono sempre stato vicino alla fede».
Piccolo inciso: Francesco Totti, il campione che l’Italia sta ancora festeggiando e che ha emozionato tutti in questi giorni, super ospite dell’ultima edizione della kermesse canora ha risposto, alla domanda di Carlo Conti su quale fosse il suo brano preferito di Sanremo, riferendosi scherzosamente all’edizione vinta da Povia, “Piccione”. Sì, ha detto proprio così con il suo tipico accento romano, suscitando l’assoluta sorpresa del presentatore impreparato a dar seguito alla risposta con il riascolto del brano.
Ma la carriera di Giuseppe Povia comincia prima del trionfo al Festival. Infatti nel 2003 vince la XIV edizione del Premio Città di Recanati (oggi Premio Musicultura) con il brano “Mia sorella” (canzone che tocca il tema dell’anoressia e della bulimia) riceve complimenti ed elogi da parte di Alda Merini, Fernanda Pivano e Dacia Maraini.
Nel 2005 partecipa, fuori concorso, al Festival di Sanremo con la canzone “I bambini fanno ooh…”, chi può dire di non averla cantata? Ascoltata e riascoltata, di non essersi addormentato con il motivetto nelle orecchie?
E dopo il primo posto del 2006, nel 2009 arriva secondo con la bellissima canzone “Luca era gay” che si aggiudica anche il Premio Sala Stampa Radio Tv. Forse i problemi cominciano a nascere proprio da lì, (chissà come mai!!!), ma torniamo all’intervista e viva la libertà! Chissenefrega del pensiero unico!
«Io sono sempre stato vicino alla fede. Quando ero piccolino andavo in chiesa, mia mamma mi portava con lei e se non andavo a messa non potevo giocare a pallone. Allora prima messa e poi partita di calcio. Con il tempo crescendo, dopo il catechismo, mi sono allontanato, forse anche perché ascoltavo ma non capivo davvero. Verso i 24 anni ho cominciato a stare male, una grande depressione. Soffrivo di attacchi di panico, un’ansia terribile, ho avuto problemi di dipendenza e abuso di droga e alcol, e sono stato un anno e mezzo in una comunità di recupero facendo anche un cammino spirituale».
Registro con il cellulare per non distrarmi e concedergli tutta la mia attenzione. Il concerto sta per iniziare ma Giuseppe Povia mi parla con tutta la tranquillità del mondo. Da dietro al palco cominciano a chiamarlo ma lui sorride e resta concentrato a raccontarmi. Ad un certo punto mi confida:
Poi nel 1997, o forse era il ’98, ho avuto un segno da padre Pio, solo che quando lo racconto c’è sempre qualcuno che storce il naso perché non è credente e non mi crede, anche se io penso che coloro che affermano di essere atei non lo siano veramente».
L’aspetto davvero bello e particolare, Dio-incidenza, è che giovedì 25, data dell’intervista, è il compleanno del Santo di Pietralcina, e quando lo faccio notare a Giuseppe lui contento mi dice: “così gli facciamo anche gli auguri!”.
UN SEGNO DA PADRE PIO: IL PROFUMO DI ROSE
«Stavo salendo in casa a Roma ed ero molto depresso, non uscivo mai, andavo soltanto a lavorare, ma sempre con il magone perché avevo costantemente la paura di svenire. Dicevo il rosario perché poi quando non ti aiuta nessuno o ti affidi o ti sfidi, quindi mi sono affidato, stavo molto male e pregavo. Adesso te lo racconto così ma ero disperato. Quel giorno in tutto il palazzo hanno cominciato a vociferare che si sentiva il profumo di padre Pio. Venne un gruppo di signore a bussarmi alla porta per dirmi che c’era molto forte questo profumo di rose, un odore intenso che io non sentivo, mentre loro continuavano ad affermare che me lo sentivano addosso, che veniva da me e che era il profumo di padre Pio. Io piangevo. Non conoscevo padre Pio, pregavo soltanto il rosario. Ma da quel giorno, dopo aver ricevuto questo segno, non mi sono sentito più solo, ho cominciato a credere di più, mi sono avvicinato, la mia fede è cresciuta. È come una presa che se anche tu molli Lui ti tiene sempre».
E mentre lo dice mi stringe la mano per farmi sentire appieno la sua sensazione, per trasmettermela, e aggiunge:
«Lo so che non si può far vedere con il telefonino ma è così», riferendosi al fatto che io stavo registrando l’audio con il cellulare.
È così davvero, Dio ci salva, non si stanca di perdonarci, non ci molla come facciamo noi alla prima difficoltà, all’insorgere del problema. Il Signore resta crocifisso. Resta lì per noi. I chiodi conficcati nella carne pur di non abbandonarci, per non consegnarci alla morte. Pur di donarci la vita eterna. E per diventare amici Suoi dobbiamo invertire la rotta… convertirsi non significa questo? Allora il titolo del tour informativo di Gianfranco Amato e Giuseppe Povia è proprio bello, perché ci risveglia e ci parla di un nuovo inizio.
Fonte it.aleteia.org