I bagnini volontari che salvano i profughi in mare sono la miglior lezione di teologia

La Befana tutte le feste le porta via, lo so, però questa volta facciamo un’eccezione. So di essere fuori tempo massimo per le raccolte fondi natalizie ma io voglio far volare la bontà del Natale fino a marzo e oltre, perché tramite un crowdfunding – raccolta di fondi on line – bisogna depositare una calza piena di denaro aProactiva Open Arms che, coi soldi, arriva appunto solo fino a quel mese.

Si tratta di 115 mila persone salvate in tre mesi di attività. Per un neonato – Proactiva Open Arms ha solo tre mesi – non è male, ammettiamolo. I socorristas – cioè quelli che aiutano – vengono dalla Spagna e arrivano in Grecia con i loro doni. Sono bagnini al di fuori della retorica del bagnino “stile Baywatch”. Sono bagnini nel senso di essere uomini e donne competenti nel loro lavoro di salvare gente che rischia di affogare in mare. Hanno risposto all’appello del loro capo Oscar Camps, hanno interrotto le ferie e sono approdati a Lesbo.

Dice Camps che l’idea gli è venuta semplicemente guardando il mare dalla spiaggia: “C’è molto da fare”, ha pensato. Due settimane in compagnia di un collega sulle coste frastagliate dell’isola greca meta dei barconi dei profughi, bastano per capire. L’appello circola fra i reduci della stagione estiva fra le Canarie, Ibiza e la Costa Brava, e in pochi giorni i primi quattro bagnini volontari raggiungono l’isola. Prima sono arrivati con tavolette e mute, poi moto d’acqua, ora ci sono gommoni, motoscafi e qualche attrezzatura. Ai primi volontari si sono unite persone comuni da tutto il mondo che hanno portato quello che hanno: a volte poco. Però, per chi ha nulla poco è tutto. Si affiancano ai barconi e spiegano a gesti come fare per non rovesciarsi. E, se cadono in mare, si tuffano per salvarli.

Forse la teologia non è mai stata spiegata meglio. Come si fa il bene? Guardando quello che c’è da fare, pensando a cosa si sa fare, chiamando gli amici, e iniziando a fare. Quando si fa il bene non ci si ferma pensando che a un certo punto i soldi saranno finiti. Si salva chi è vicino e poi si cerca di arrivare a chi è lontano. Sta a tutti vedere dove si arriva, non a chi inizia. Chi inizia a fare è uno che ha visto che “c’era molto da fare” e ha iniziato a fare. Sta a noi, poi, prenderci sulle spalle chi ha iniziato e spingerlo ad arrivare più su. È troppo facile non aiutare, crogiolandosi nell’idea che tanto non cambierà nulla. Non posso pensare di sconfiggere la fame nel mondo se non sfamo chi ho accanto adesso.

“Con quello che abbiamo” dice Lanuza “riusciremo a essere presenti fino a marzo, poi si vedrà”. Questi volontari di tutto il mondo riempiono il vuoto lasciato dalle autorità ma riusciranno a essere presenti fino a marzo. E dopo? Da marzo? A marzo ci siamo noi con quello che sappiamo e che possiamo.

Di don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost


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