Il 25 maggio è un giorno importante per il mondo camilliano: si ricorda infatti la nascita di San Camillo, avvenuta appunto il 25 maggio del 1550 a Bucchianico, in provincia di Chieti, e il sacrificio dei “martiri della carità”: circa 300 fra sacerdoti, fratelli, chierici, novizi e oblati che, dalla nascita dell’Ordine ad oggi, hanno onorato fino alla morte il “quarto voto” di assistenza ai malati. Quest’anno, per i 400 anni dalla morte di San Camillo de Lellis (14 luglio 1614), nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Roma si è svolto un convegno patrocinato dall’Ufficio Cei per la pastorale della salute, che si è concluso ieri con una Messa presieduta dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. La giornata è stata preceduta da un Forum sul volontariato, nella sede del Camillianum, a cui hanno partecipato, tra gli altri, il vescovo ausiliare di Roma monsignor Matteo Zuppi e il direttore per le aggregazioni laicali e le confraternite del Vicariato di Roma, monsignor Antonio Interguglielmi. Altro appuntamento importante e imminente: il Capitolo generale straordinario, in programma a Roma dal 15 al 21 giugno. Abbiamo “fatto il punto” con padre Paolo Guarise, vicario generale dei Camilliani. Perché san Camillo può essere ritenuto a pieno titolo un precursore, nell’assistenza sanitaria italiana? Perché ha riformato la sanità in una maniera che possiamo definire ancora oggi attuale. Al tempo di San Camillo, tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, c’era la peste, la povertà, e i pellegrinaggi a Roma ‘caput mundi’ erano tali da portare nella Città eterna un gran numero di malati, di poveri, di piagati, insomma un flusso di persone tale che non rendeva facile il far fronte alle emergenze. San Camillo in virtù della grazia, dell’ispirazione, del carisma, ha fornito una modalità di approccio al malato valida ancora oggi: mettere l’ammalato al centro. A Roma c’erano già gli ospedali, come Santo Spirito in Sassia e San Giacomo degli Incurabili, e gli infermieri erano i galeotti, i carcerati. San Camillo rimase colpito da una frase di uno di loro: ‘ma dai, prendi su, manda giù, che ti pozzi strangolare!’. Lui diceva, invece, che i malati ‘sono i nostri signori e padroni’. Oggi in campo sanitario si parla molto dell’umanizzazione del malato e delle cure: San Camillo già lo faceva, invitando a riscoprire la dignità della persona umana. Ci possono essere le strutture o le tecniche più avanzate, ma se manca il cuore non si può garantire un’assistenza adeguata ai malati.
Non è sempre facile incarnare questi valori, in un panorama sanitario in cui anche le strutture sanitarie cattoliche sono in grossa difficoltà… La sanità in Italia sta attraversando un momento di forte crisi: con tutta la buona volontà che possono avere le istituzioni religiose, ponendosi come modello di assistenza e assecondando le necessità attuali di ammodernamento tecnologico, le leggi fiscali e le tasse, è impossibile andare avanti senza le sovvenzioni statali. L’alternativa sarebbe andare totalmente nel privato, ma con quote altissime. Il risultato è che molte strutture sanitarie cattoliche stanno fallendo, perché non c’è un contributo statale adeguato ed erogato in tempo utile. In questo contesto, viene spontaneo chiedersi se la sanità cattolica abbia ancora qualcosa da dire nei confronti del servizio sanitario nazionale. La mia risposta è sì, perché la sanità non è soltanto questione di soldi, ma di cuore. ‘Più cuore in quelle mani’, diceva san Camillo. Le mani sono l’azione, il lavoro di medici, tecnici, infermieri. Il cuore è la parte razionale ed affettiva, che nell’uomo devono andare insieme.
Qual è la soluzione, allora? Ci vuole un maggior accordo tra autorità civili e autorità religiose. Noi religiosi abbiamo la libertà di aprire e di far funzionare le nostre istituzioni, forti nel caso dei Camilliani di una tradizione di 400 anni. Benedetto XIV, nella bolla di canonizzazione di san Camillo, nel 1746 riconosceva che il nostro fondatore aveva ‘istituito una scuola di carità’. Noi Camilliani siamo per il mondo, e in tutto, il mondo, una scuola di carità: abbiamo bisogno di un aiuto qualificato dallo Stato, che eroghi i contributi con regolarità.
È di questi temi che discuterete nel Capitolo? Si tratta di un Capitolo straordinario ed elettivo: in genere noi teniamo un capitolo ogni sei anni, e l’ultimo risale al maggio del 2013. Abbiamo voluto convocare questo Capitolo proprio per riflettere sulle vicende che hanno coinvolto l’Ordine negli ultimi mesi, e in seguito alle quali il nostro Superiore generale ha rinunciato all’incarico per accuse attualmente ancora in sede di risoluzione. La finalità del Capitolo, come recita anche il tema, è la ‘rivitalizzazione’ dell’Ordine a 400 anni dalla sua fondazione. Questo anno giubilare per noi ha un’importanza particolare, e l’obiettivo di dare un nuovo assetto all’Ordine era già stato prefissato: gli ultimi eventi sono un motivo ulteriore per rifare un nuovo governo, eleggendo il nuovo Superiore generale con la sua Consulta generale. La crisi era cominciata infatti proprio nel Capitolo precedente, dove erano state ravvisate alcune irregolarità dall’autorità civile che la legge ora cercherà di chiarire, per capire fino a quanto siano vere oppure dovute all’intrusione di qualche altra persona interessata, magari, a gettare benzina sul fuoco. di M. Michela Nicolais