“Non siate spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei, non lasciatevi rubare l’entusiasmo”. Così, il Papa agli universitari degli atenei romani durante i primi vespri della prima domenica di Avvento. Dal Pontefice è giunta l’esortazione a non lasciarsi condizionare dall’opinione dominante e ad andare controcorrente rimanendo fedeli ai principi etici e religiosi cristiani. Viviamo in una sorta di confusione di pensiero. Soprattutto quando si tratta di attirare l’elettorato verso i propri progetti politici. La fede cristiana è limpida. Non può essere manipolata per scopi personali. O meglio non si possono avere due piedi in una scarpa. Arraffare i voti arrampicandosi sugli specchi, è abitudine a cui troppo spesso la politica italiana ci ha abituato. Gli attori che si presentano alle elezioni -se si professano cattolici-, hanno il dovere di non manipolare la dottrina cattolica per giustificare le scelte politiche. Non è nemmeno possibile affermare di essere cristiani dal di dentro e poi agire in modo totalmente opposto all’insegnamento della Chiesa. La fede ha una dimensione pubblica. Coloro che si professano cattolici non possono dire quello che vogliono, facendo passare le loro idee per il pensiero della Chiesa. Certamente siamo in democrazia. Ognuno ha il diritto di manifestare le sue opinioni. Naturalmente non allinearsi al pensiero debole dominante, nella società odierna è un grosso problema. La non condivisione della idee, prescinde dal rispetto che si deve avere verso tutti. Ogni uomo al di là delle sue tendenze ideologiche e politiche, deve essere ascoltato ed accettato senza esclusioni di sorta. Succede però, che quando si dice forte e chiaro il dissenso, viene azionata la macchina del fango. Gli attacchi diventano forti e a volte insopportabili. Dire di essere contrari ai matrimoni e alla adozioni gay, non significa non rispettare i gay. Pertanto a tutti i cattolici vorrei ricordare le parole della Congregazione della Dottrina della fede nella “nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, (24 novembre 2002). E’ la bussola che deve guidare le coscienze di chi è impegnato in politica e di chi è chiamato ad eleggere il futuro quadro dirigenziale italiano:
“Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani”. “La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa”.
Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva, infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un’etica naturale. Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d’altronde, non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre oggi viene percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente: il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali umani. In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell’adesione ad essa». L’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, anzi con essa è pienamente coerente”. DonSa