R. – Da quello che abbiamo saputo sarà un pasto molto frugale, semplice, perché il tempo è breve e perché l’intenzione del Santo Padre è quello di salutare singolarmente ogni detenuto: non so bene in questo momento se prima o dopo il pasto, prima di andare via.
D. – Cosa si aspettano i detenuti e i volontari del carcere di Poggioreale e di Secondigliano da questa visita del Santo Padre?
R. – Che la loro voce – di persone comunque “costrette” a vivere senza la propria libertà e “costrette” anche a vivere in situazioni molto difficili – possa essere portata fuori dal Papa.
D. – Che situazione vivono le carceri di Poggioreale e di Secondigliano? Sappiamo che le carceri italiane sono sovraffollate: ma quali sono i problemi che ci sono e che affrontate voi operatori di volontariato che siete lì ogni giorno e cercate di fare tanto per queste persone ristrette?
R. – Sono 28 anni che io faccio volontariato nel carcere di Poggioreale e una ventina d’anni che sono anche a Secondigliano. Dal mio punto di vista, oltre al sovraffollamento, anche se da 7-8 mesi è diminuito perché parecchi sono stati spostati in altre carceri della Campania o dell’Italia, uno dei problemi è l’inattività che questi ragazzi devono subire durante la loro carcerazione. Le attività che si possono svolgere “dentro” sono poche; il lavoro è pochissimo. Stanno veramente 24 ore chiusi in cella. L’inattività, noi lo sappiamo, è il padre dei vizi … E loro vorrebbero essere impegnati! Per quanto le direzioni di entrambi i carceri cercano di organizzare corsi su corsi, sia a livello volontario sia anche a pagamento, cioè la scuola, ma sono sempre pochi rispetto al numero enorme di persone che si trovano ristrette nelle carceri.
D. – Quali frutti vi aspettate che porti questa visita del Papa?
R. – Una speranza maggiore. Giovanni Paolo II venne a Poggioreale. Anni dopo, io incontrai nel carcere di Secondigliano una persona e parlando della visita di Papa Giovanni Paolo II lui mi disse: “Il Papa passò davanti alla mia cella e mi strinse la mano. Io in quel momento sentii una scarica dentro di me, uno svuotarmi di me stesso e trovai una serenità dentro di me … non le dico che cosa ho provato!”. E mi diceva: “Io sono sicuro che quando uscirò da qui non rientrerò più”, perché evidentemente quella stretta di mano aveva infuso in lui tanta e tanta di quella forza, di quella speranza per cui lui con sicurezza diceva: “Io non rientrerò più in carcere!”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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