I falsi miti della politica del sovraffollamento globale sono falsi

Quante volte abbiamo sentito ripetere che la sovrappopolazione sta soffocando la Terra, che presto le risorse finiranno e che l’unica soluzione è una rigida politica di controllo delle nascite, soprattutto nel Terzo mondo? Da decenni ormai scienziati e intellettuali più o meno rispettati vanno ripetendo che le «coppie con figli sono egoiste, narcisiste e irresponsabili», una vera sciagura per chi ama l’ambiente. Peccato che le loro fosche teorie e predizioni catastrofiche, rinforzate dall’allarme per il riscaldamento globale e dalla moda ecologista dilagante, non si siano mai avverate. Per tutti costoro dunque, ha scritto su The Atlantic la dottoressa Sheril Kirshenbaum, direttrice dell’Energy Poll dell’Università del Texas (Austin), già consulente del Senato americano sui temi di politica energetica e climatica, è venuto il tempo di rassegnarsi all’idea che molto probabilmente “Fare figli non distruggerà il pianeta”. Anzi. «Molti miei amici e colleghi accademici – scrive Kirshenbaum – annunciano di non voler fare figli per “salvare il pianeta”

. Per loro i numeri della popolazione sono una semplice equazione input-output nella quale più persone creano più problemi». Fortunatamente però, obietta la ricercatrice, «non basta la matematica per capire i meccanismi che spostano l’equilibrio della vita sulla Terra», e la storia ha dimostrato che «un pianeta affollato non è necessariamente condannato». A patto che le persone siano disposte a cambiare «il modo in cui scelgono di vivere». Kirshenbaum intende rovesciare i miti intellettuali affermatisi grazie al successo di teorie come quella di Malthus o quella di Paul Ehrlich, il professore di Standford autore nel 1968 del best seller The Population Bomb (la bomba demografica). Quel libro, ricorda la scienziata, scatenò il panico convincendo moltissimi che «nei successivi decenni non ci sarebbe stato abbastanza cibo per sfamare l’umanità». Così «la sovrappopolazione cominciò ad apparire come la crisi ambientale preminente della nostra epoca» e rinunciare ai figli divenne una virtù. Tuttavia, «cinque decenni dopo», le «tremende previsioni» di Ehrlich e dei malthusiani non si sono ancora avverate. Al contrario, osserva Kirshenbaum, la popolazione mondiale sta tutt’ora crescendo, e soprattutto è migliorata la qualità della vita anche nelle regioni povere e sovraffollate dell’Africa e dell’Asia. E paradossalmente, se è vero che «nel 2050 la popolazione umana raggiungerà un picco di 10 miliardi di persone per poi decadere per la prima volta nella storia moderna», e se è vero che il tasso di fertilità globale è crollato dai 5 figli per donna degli anni Sessanta ai 2,5 di oggi, è proprio a causa dei progressi che hanno abbattuto i tassi di mortalità infantile in tutto il mondo.

Infatti se ancora adesso «un miliardo di persone al mondo soffrono di fame cronica» non è perché manchino le risorse, ma «perché il cibo non le raggiunge», scrive Kirchenbaum. Il problema, cioè, è di spreco e di distribuzione. Perciò «il modo che abbiamo per esercitare un impatto immediato è semplicemente quello di contenere lo spreco del cibo, che negli Stati Uniti è di circa la metà di quanto ne produciamo. (…) Trentuno milioni di tonnellate di cibo prodotto ogni anno non vengono consumate». E la questione riguarda anche l’energia, perché «sprecare cibo è sprecare energia» impiegata per la sua produzione. Ma il vantaggio della ”Green Revolution”, spiega la studiosa americana, è proprio che «ha reso possibile coltivare più cibo», tanto è vero che oggi «quando e dove si verificano carestie, esse sono in larga parte dovute più a deficit distribuitivi che a mancanza di risorse». Insomma il futuro del mondo, secondo Kirchenbaum, dipende proprio dall’uomo e dalle sue scelte, cioè proprio da quello che «molti miei colleghi combattono». Scrive la ricercatrice: «Presso l’Università del Texas, ad Austin, esamino gli atteggiamenti nazionali in materia di energia e ambiente. Negli ultimi anni ho iniziato a notare che le persone con i bambini tendono ad essere più preoccupate per l’ambiente rispetto alla popolazione generale e più interessate a cambiare il loro comportamento per essere consumatori intelligenti. Ad esempio, i genitori sono sempre più propensi ad ammettere che il cambiamento climatico sta avvenendo. Esprimono anche più interesse per l’acquisto di auto ad alta efficienza energetica e di installazione di pannelli solari». Così, paradossalmente, quando le coppie benestanti delle nazioni sviluppate «scelgono di non avere figli per “il bene del pianeta” possono anche essere mossi da buone intenzioni», ma in realtà i dati evidenziano che «non stanno facendo investimenti nel lungo periodo». E se prima si poteva solo «intuire che i genitori sentono di avere una responsabilità più grande per il futuro e che vogliono il meglio per le loro famiglie, ora abbiamo i dati che dimostrano che è vero». di Benedetta Frigerio 

 

 

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