La pace non si può mai dare per scontata. Il messaggio che ereditiamo dalle fangose trincee delle Somme, dai campi di battaglia della Marna, di Verdun o di Caporetto, dai gas di Ypres, è che i fantasmi del passato possono tornare sotto mentite spoglie, con le parole d’ordine dei nuovi nazionalismi, degli egoismi territoriali, dei protezionismi economici, dei revanscismi, oppure – più subdolamente – con i diritti individuali e sociali calpestati, con la xenofobia strisciante o manifesta. Eppure la stessa Europa che aveva generato i grandi conflitti mondiali, il nazismo e il comunismo, la Shoah e i forni crematori, è la stessa Europa che, sessant’anni fa, guidata da politici illuminati, ha intrapreso la strada della pacificazione duratura, della cooperazione economica orientata allo sviluppo, dell’integrazione politica. È l’Unione europea del Nobel per la pace, delle faticose (talvolta tardive o indigeste) risposte comuni alla crisi di questi ultimi anni, della comunanza di valori e di un modello sociale ammirato negli altri continenti. Nel corso della commemorazione di Strasburgo, il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, ha particolarmente sottolineato tre attualissimi “insegnamenti”
da ascrivere alle guerre mondiali. Anzitutto “la costante necessità di salvaguardare la pace” come bene primo e “non negoziabile”, tuttora sfidata proprio dai nazionalismi e dai populismi che si sono comprensibilmente abbeverati alla fonte della crisi economica e delle sue pesantissime ricadute sociali. In secondo luogo, il “rispetto del diritto internazionale e dello stato di diritto”, perché i conflitti “sono la sconfitta della politica, della diplomazia e delle regole” che plasmano la convivenza dei popoli. Terzo: la “responsabilità” e la “solidarietà”, le quali mirano a unire gli interessi delle nazioni, per una costruzione comune orientata a un bene superiore e condiviso, esattamente come ci si propone con l’Unione europea. La storia, dunque, è ricca di moniti per il presente. Essa ha fondato i primi passi e le successive conquiste dell’Europa comunitaria. Eppure di per sé la storia non basta per andare avanti. L’Europa del XXI secolo, in questa epoca complessa e globalizzata, ha bisogno di guardare oltre; necessita di un progetto rinnovato, adeguato alle nuove sfide, condiviso dai governi e dai cittadini Ue. Solo così la lezione della Storia, posta a fondamento di un’Europa unita e aperta al mondo, si potrà considerare generatrice di una “nuova Storia”. di Gideon F. De WitSanta Elisabetta d’Ungheria: vita e preghiera Santa Elisabetta, dopo essere rimasta vedova di Ludovico, conte di Turingia, abbracciò la povertà…
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