Categorie: Ethica et Oeconomia

I fantasmi del ‘900 sono ancora tra noi?

Sarajevo, Strasburgo, Kiev. Passa simbolicamente da queste tre città il pesante fardello dei conflitti che hanno sconvolto la prima metà del Novecento europeo e mondiale, e a queste tre città ritorna, a cento anni dalla “Grande guerra”, per riflettere su quella pesante eredità e sugli insegnamenti da trarne. Il Parlamento europeo ha commemorato nella sede di Strasburgo – durante l’ultima sessione plenaria alla vigilia del suo scioglimento e del voto di maggio – la prima guerra mondiale, la cui scintilla scatenante si fa risalire all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo ad opera di una nazionalista slavo, a Sarajevo, il 28 giugno 1914. La storia, certo, non si ripete, ma non è mai definitivamente sepolta. Così Sarajevo rimanda a una terra, la Bosnia-Erzegovina, tutt’altro che pacificata dopo la guerra etnica degli anni ‘90. Strasburgo, invece, ricorda sia il primo che il secondo conflitto bellico, tanto da essere divenuta, nella seconda metà del secolo scorso, la città-simbolo della pacificazione franco-tedesca (ed è questa la ragione per la quale oggi ospita il Parlamento europeo). Non di meno, tutti i discorsi commemorativi hanno citato i fatti in corso in Ucraina, e dunque Kiev, la Crimea, Donetsk: dove le armi vengono ancora imbracciate per regolare i conti fra due Stati confinanti. Il binomio guerra-pace ricorre nei pensieri degli europei quando si fa memoria dei 17 milioni di morti del 1914/18, oppure dei 60 milioni del 1939/45. Ma conserva, purtroppo, tutta la sua attualità se si lancia lo sguardo all’Europa dell’Est, al Medio Oriente, al Mediterraneo e ad altre regioni del mondo dove lo spettro della sopraffazione e della guerra continua a dividere il genere umano, a creare morte, distruzioni, miseria.

La pace non si può mai dare per scontata. Il messaggio che ereditiamo dalle fangose trincee delle Somme, dai campi di battaglia della Marna, di Verdun o di Caporetto, dai gas di Ypres, è che i fantasmi del passato possono tornare sotto mentite spoglie, con le parole d’ordine dei nuovi nazionalismi, degli egoismi territoriali, dei protezionismi economici, dei revanscismi, oppure – più subdolamente – con i diritti individuali e sociali calpestati, con la xenofobia strisciante o manifesta. Eppure la stessa Europa che aveva generato i grandi conflitti mondiali, il nazismo e il comunismo, la Shoah e i forni crematori, è la stessa Europa che, sessant’anni fa, guidata da politici illuminati, ha intrapreso la strada della pacificazione duratura, della cooperazione economica orientata allo sviluppo, dell’integrazione politica. È l’Unione europea del Nobel per la pace, delle faticose (talvolta tardive o indigeste) risposte comuni alla crisi di questi ultimi anni, della comunanza di valori e di un modello sociale ammirato negli altri continenti. Nel corso della commemorazione di Strasburgo, il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, ha particolarmente sottolineato tre attualissimi “insegnamenti”

da ascrivere alle guerre mondiali. Anzitutto “la costante necessità di salvaguardare la pace” come bene primo e “non negoziabile”, tuttora sfidata proprio dai nazionalismi e dai populismi che si sono comprensibilmente abbeverati alla fonte della crisi economica e delle sue pesantissime ricadute sociali. In secondo luogo, il “rispetto del diritto internazionale e dello stato di diritto”, perché i conflitti “sono la sconfitta della politica, della diplomazia e delle regole” che plasmano la convivenza dei popoli. Terzo: la “responsabilità” e la “solidarietà”, le quali mirano a unire gli interessi delle nazioni, per una costruzione comune orientata a un bene superiore e condiviso, esattamente come ci si propone con l’Unione europea. La storia, dunque, è ricca di moniti per il presente. Essa ha fondato i primi passi e le successive conquiste dell’Europa comunitaria. Eppure di per sé la storia non basta per andare avanti. L’Europa del XXI secolo, in questa epoca complessa e globalizzata, ha bisogno di guardare oltre; necessita di un progetto rinnovato, adeguato alle nuove sfide, condiviso dai governi e dai cittadini Ue. Solo così la lezione della Storia, posta a fondamento di un’Europa unita e aperta al mondo, si potrà considerare generatrice di una “nuova Storia”. di Gideon F. De Wit

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