Tutte queste morti non sono di Dio anche se lo nominano, anche se ci mettono la sua firma. La decisione profondamente responsabile della famiglia Solesin obbliga a guardare qualcosa che il mondo civile non tollera più, e cioè il fatto che la religione è ancora motivo di morte, di guerra, di dolore. Cristo è morto proprio perché gli uomini siano “tutti una cosa sola” (Gv 17,21). E dobbiamo chiederci perché le cose sono andate in maniera così diversa.
Il padre di una ragazza uccisa dall’Isis arriva a dire che gli vanno benissimo anche “le benedizioni dell’imam” purché “tutti possano partecipare senza che nessuno però ci metta il proprio cappello sopra”. Brividi per parole che spingono all’esame di coscienza tutti coloro che professano di appartenere a qualche chiesa, me per primo.
Ho visto tante volte come il dolore possa spingere a chiudersi, al “funerale a porte chiuse”: volere una cerimonia “perché tutti possano partecipare” è spalancare un cuore aperto. Questo signore parla di coraggio di testimoniare valori di unità, funerali aperti anche alla benedizione di un Iman, anche alla benedizione di chiunque creda, perché “credere è credere“, dice.
Mi vengono in mente i tanti proclami sul relativismo imperante e penso a queste parole che li purificano. Come è necessario che per avere un senso reale le parole, anche le più corrette, scendano dalle cattedre per incontrarsi con la vita.
Sentire l’apertura ad una benedizione chiunque, anche del rappresentante di quella religione in nome della quale è stata uccisa la figlia, a me sembra una lezione di catechismo ineludibile. Il desiderio di benedizione è il desiderio di parole che portano il bene, che augurano il bene. Non è desiderio di liturgia, di ritualità, ma di unione di valori che fanno da colla tra uomo e uomo. Sì Alberto, i veri valori non negoziabili sono i valori non divisivi.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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