Vedere, toccare, scorgere i segni del Cielo. Non cerca forse tutto questo, animato magari sulle prime solo da spirito di curiosità o d’avventura, chi si mette in viaggio per Medjugorje? E non è forse lo stesso anelito delle folle che duemila anni fa assiepavano i villaggi della Palestina per ascoltare Gesù di Nazareth e poter anche solo toccare un lembo del suo mantello? Sono passati quasi trentacinque anni da quel giugno 1981 in cui nel villaggio bosniaco “tra due monti” – questo il significato di Medjugorje – tutto ebbe inizio con le prime apparizioni della Gospa (Signora, in croato) a sei veggenti giovinetti e le folle di pellegrini, anziché diminuire, aumentano.
Cinquantamila i giovani arrivati lo scorso anno per il Festival internazionale della gioventù che ai primi di agosto, ogni estate, richiama persone da ogni parte del mondo. Più di settantamila quest’anno. Protagonisti, molti se non tutti, di un’esperienza spirituale che considerano importante e qualcuno addirittura decisiva. Conversioni, vite cambiate, vocazioni religiose sbocciate, pratiche religiose riscoperte, speranze di nuovo rifiorite. No, non è possibile scrutare il “dilemma Medjugorje”, sul quale da tre decenni duellano senza requie credenti e increduli, uomini di fede e scienziati, scettici e curiosi, senza immergersi nei volti e nelle storie di chi a Medjugorje va e continua, imperterrito, a tornare. Con il fervore del devoto, la consapevolezza del pellegrino o – ce ne sono pure – lo scetticismo di chi, una volta laggiù, spera di “smascherare” finalmente l’imbroglio che si propagherebbe.
Medjugorje, diciamolo pure, non è un luogo per puristi o intellettualismi troppo raffinati. È un corpo a corpo tra fede autentica e sacro selvaggio, paccottiglia devozionale e merchandising un po’ kitsch, scene dal sapore evangelico e quell’aura profondamente mistica che quasi ti pervade nel silenzio orante, genuino e non artefatto, che avvolge migliaia di persone tutte in ginocchio in adorazione del Santissimo.
Milano, venerdì 31 luglio, stazione degli autobus di Lampugnano. Il nostro pullman organizzato dall’associazione “Amici di Medjugorje” di Varese arriva puntuale alle 7.15. Si parte. Destinazione: Medjugorje. A guidare la truppa, composta per metà da giovani e ragazzi, l’energica Marilena, veterana di questi viaggi. «La Madonna», chiosa, «ci aspetta». Icona di quella fede che, Vangelo alla mano, nei piccoli e negli umili trova un’accoglienza privilegiata. «Non chiedete al Signore di assistere a segni particolari: il sole che gira o altri prodigi. Il senso del pellegrinaggio è la purificazione del cuore», tuona frate Attilio, il giovane cappuccino che è la guida spirituale del gruppo.
Per Cinzia è la quinta volta, nel 2011 quella “decisiva”: «Quando sono salita sul Podbrdo, il monte della apparizioni, è come se fossi stata abbracciata», racconta. «Ho capito in quell’istante che il Signore vuole bene anche a me e che anche l’ultimo peccatore si può salvare, è prezioso ai suoi occhi».
Per Daniela, 39 anni, master alla Bocconi, dirigente d’azienda, invece è la prima volta. Otto mesi fa ha perso il ragazzo con cui sognava di fare una famiglia. Un colpo durissimo che, spiega, «mi ha costretto a fermarmi e chiedermi perché». Michela, 34 anni, impiegata in un’azienda di spedizioni della Brianza, era a un passo dal buddismo quando decise di andare a Medjugorje. «Vedendo i miei genitori, pensavo che la gente laggiù venisse drogata», dice tranchant. E invece? «Partii con l’obiettivo di dimostrare che era un gigantesco imbroglio, un’impostura. E invece ho incontrato persone che hanno dissipato i miei dubbi sulla fede e mi hanno fatto capire che il Signore guida la mia vita».
Fra’ Attilio spiega la differenza tra rivelazione pubblica (Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo) e rivelazioni private come le apparizioni mariane che, ricorda, «sono un aiuto per credere ma non il centro della fede». Prudenza e realismo, dunque, come ben s’addicono a un uomo di Chiesa.
Sabato 1° agosto. Arriviamo alla meta poco dopo mezzogiorno. L’impressione fin da subito è nitida: né ordine, né rigore urbanistico, Medjugorje è un villaggio cresciuto troppo in fretta. L’ombelico è la chiesa parrocchiale, dedicata a San Giacomo apostolo, protettore dei pellegrini. Tutto attorno alberghi spuntati come funghi e che in questi giorni registrano il tutto esaurito, parcheggi improvvisati di pullman e strade ricavate tra una costruzione e l’altra. Ai lati della chiesa due file lunghissime di persone, soprattutto giovani, aspettano per confessarsi sotto il sole cocente. Basta scorgerne i volti per vedere che qui, in barba a ogni pretesa di liquidare tutto come un fenomeno devozionalistico per vecchi bigotti un po’ fissati con la Madonna, arriva gente di ogni età, condizione sociale, livello culturale.
Cinquecentocinque tra sacerdoti e religiosi si alternano a confessare in tutte le lingue: inglese, francese, italiano ovviamente. Ma pure arabo, magiaro, coreano, slovacco, cinese... Nessun confessore, a nessuna ora del giorno, resta disoccupato. Qualcuno espone un cartello con l’orario: “Fino alle 18.30”. I penitenti s’inginocchiano a terra. Tanti hanno i volti rigati di lacrime, c’è chi al momento dell’assoluzione scoppia in pianto. «È un fiume di grazia», mormora un frate francescano del Libano. Padre Roberto Panizzo dei “Figli e Figlie del Cuore Immacolato di Maria” trascorre qui sei mesi all’anno e snocciola un aneddoto che ben riassume lo spirito di Medjugorje: «Una volta da Vigevano arrivò un prete: non fece in tempo ad arrivare in chiesa e posare il bagaglio che un gruppo di ragazzi lo bloccò alla stazione degli autobus per farsi confessare». Poi aggiunge: «Ai sacerdoti dubbiosi dico sempre una cosa: venite qui, restate due ore in confessionale e cambierete idea su Medjugorje. In tanti anni non ho mai visto il sole che gira o altri segni simili. Ma di conversioni del cuore sì, tante. E molte sorprendenti».
Domenica 2 agosto. È ancora l’alba ma sul Podbordo, il monte tutto speroni rocciosi delle apparizioni, sono già abbarbicati migliaia di pellegrini per l’apparizione mensile a Mirjana, una dei sei veggenti. Ai crocicchi delle strade si prega il Rosario e si mescolano le Ave MariaI volti, ancora una volta, impediscono ogni classificazione sociologica: ragazzini che potresti tranquillamente incontrare a Ibiza o in qualche discoteca della Riviera romagnola, famiglie con bimbi che sonnecchiano placidi, giovani, tanti, anziani. in croato, italiano, spagnolo, inglese… I ragazzi della Comunità Cenacolo di Madre Elvira, che per prima quassù nel ’91 piantò una tenda per pregare insieme a un manipolo di coraggiosi mentre infuriava la guerra, hanno preparato una sedia per portare in cima un paralitico. Due ragazzoni, braccia tatuate e rosario al collo, si sono arrampicati sui rami di un albero per vedere. Come il capomafia Zaccheo tra la folla di Gerico.
Ma il cuore di Medjugorje è la spianata dietro la chiesa di San Giacomo dove sventolano bandiere da ogni parte del globo e si respira aria di Gmg, i raduni dei giovani nati nel 1985 dall’intuizione di Giovanni Paolo II. Sorpresa? Meraviglia? Non agli occhi del parroco, fra’ Marinko Šakota: «Qui in fondo non accade nulla di speciale», dice, «si celebra l’Eucarestia, si adora il Santissimo, ci si confessa. È il modo con cui viene fatto che è diverso. Il fariseo del Vangelo faceva tutte queste cose ma il suo cuore non era toccato da Dio. Qui l’invito della Madonna a pregare e convertirsi fa breccia nel cuore di molti. Ho visto vite spezzate rifiorire d’un tratto. Per capire Medjugorje bisogna venire e vedere».
È quasi sera. I pellegrini, zaino in spalla, continuano ad arrivare. Nel Vangelo della liturgia del giorno la folla di Cafàrnao sfida Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?». Nel silenzio vibra la voce possente di don Ivan Filipovic. «Il vero segno? Inginocchiarsi davanti a Gesù Eucarestia, riconoscerlo vivo e presente in mezzo a noi», dice. «Io sono un miracolo eucaristico vivente perché da tossicodipendente sono diventato sacerdote grazie alla Comunità Cenacolo. Cercavo la libertà e ho trovato la droga. Sapete dove mi sono convertito? Davanti al Santissimo». Poi continua: «Nel 2005 al Sinodo sull’Eucarestia sapete chi chiamarono i vescovi per farsi spiegare il mistero eucaristico? Non un teologo o un filosofo ma una suora, Madre Elvira. Il motivo? Nella sua opera avevano visto compiersi il vero miracolo eucaristico: far inginocchiare davanti all’Eucarestia giovani come me che si erano persi e che poi da quella preghiera hanno attinto la forza necessaria per cambiare vita. Ognuno di voi è un miracolo eucaristico! Medjugorje mostra al mondo il volto di una Chiesa giovane e viva». Applausi. Poi di nuovo silenzio.
Viene portata in processione la statua della Madonna seguita dalle bandiere delle varie delegazioni. Sono arrivati da ogni parte del mondo: Cina, Macao, Hong Kong, Messico, Nigeria, Guatemala, Stati Uniti, Albania, Brasile, Congo, Colombia, Giappone, Libano. Fino a quel Medio Oriente dove i cristiani sono ormai ridotti al lumicino.
Elena Khilmanovich, 27 anni, arriva dalla Bielorussa. Studiava all’università di Tor Vergata a Roma, inseguiva la carriera («di che cosa poi? per diventare importante?») e a Medjugorje, nella comunità “Luce di Maria”, ha trovato un’oasi dove fermarsi. «Mi mancava la vita interiore, adesso tutti corrono e lo facevo anch’io», racconta. «Ma dov’era il senso? Ad un certo punto mi sono chiesta “voglio veramente vivere così?”». Jean Darido, giovane cantante libanese, fa parte del coro internazionale che accompagna le celebrazioni del festival dei giovani. «È un’esperienza bellissima», dice, «la cosa più bella è sentire, quando canto qui, di essere più vicino a Gesù. E poi prego molto di più». Marco Zoppella, che a Medjugorje arrivò nel ’91 con la Comunità Cenacolo di Madre Elvira («con alcuni dei veggenti giocavo a pallone e ricordo che non passavano mai la palla», ricorda con un sorriso), riassume così: «Da buon muratore bergamasco io sono molto terra terra, concreto. Di segni strani in tanti anni che sono qui non ne ho mai visti. Il vero miracolo di Medjugorje è la preghiera e la guarigione dell’anima. Mentre altrove le chiese si vanno svuotando, qui accade il contrario. È come se questo posto avesse la missione di custodire la fede».
E se fosse tutto falso? Michela, che a Medjugorje arrivò la prima volta per smascherare ciò che ai suoi occhi era solo un grande “imbroglio”, non fa una piega: «Forse non tornerei più in pellegrinaggio ma non posso negare che in questo luogo ho riacquistato la fede e ricominciato a pregare». E Cinzia, sicura: «Da Medjugorje non si torna mai come si è partiti». Sulle note struggenti del violino di Melinda Dumitrescu, che ha abbandonato una carriera di successi per suonare qui, risuona l’inno alla Regina della pace. “Siamo venuti Madre cara / da ogni parte della terra / ti portiam le nostre pene / con le gioie e le speranze. / Il tuo sguardo ci consoli / su noi posa le tue mani”. I ragazzi cantano all’unisono, molti hanno volti radiosi.
In fin dei conti, forse la cosa più importante e affascinante di Medjugorje è ciò che accade e continua ad accadere nel segreto dei cuori. È possibile liquidare tutto questo con un sorriso scettico, allegando magari le ragioni di uno sbrigativo buonsenso? Può darsi di sì ma il rischio è disprezzare l’unità irripetibile delle singole persone che siamo e le vie, misteriose e tutte diverse tra loro, per le quali ognuno arriva alla fede.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Antonio Sanfrancesco)
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