«Al Sinodo l’ho detto: “I problemi del matrimonio e della famiglia di cui sento parlare in tanti interventi, da noi non esistono. I nostri problemi sono totalmente diversi”. L’uomo orientale e l’uomo occidentale restano molto differenti. Da noi il matrimonio continua a essere un’istituzione divina: è quello che pensano sia i musulmani sia i cristiani.
Per noi si tratta di un sacramento, per i musulmani di un’istituzione divina, perciò le legislazioni salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa: da noi non esiste nemmeno il matrimonio civile, figuriamoci le convivenze e i matrimoni fra persone dello stesso sesso!».
Bechara Boutros Raï, da quattro anni Patriarca di Antiochia dei Maroniti e da tre cardinale, è uomo che conosce il mondo. Quando va in Francia – e succede spesso – il presidente François Hollande lo riceve quasi come un capo di Stato. Come tutti i libanesi, soprattutto quelli cristiani, vive a cavallo fra Oriente e Occidente e pertanto è ambasciatore naturale fra i due mondi. «L’uomo in astratto non esiste, esiste l’uomo concreto condizionato dalla cultura religiosa e civile del luogo in cui vive. La cultura delle persone che vivono nel Vicino Oriente è determinata da una componente musulmana e da una componente cristiana. Per gli orientali la persona umana è totalmente definita dalla sua religione, e questo si riflette sul matrimonio: questioni come la custodia dei figli, i diritti ereditari, eccetera, sono definiti dal diritto familiare confessionale. Le convivenze fuori dal matrimonio e l’omosessualità sono semplicemente problemi morali, sono eccezioni che nulla hanno a che fare con l’istituzione familiare».
L’invasione pacifica
Il patriarca ovviamente non si esprime solo come antropologo culturale, ma come pastore: «All’assemblea sinodale dell’anno scorso ho detto: “Gli stati legiferano senza alcun riguardo per la legge divina: né per quella rivelata, né per quella naturale; e poi la Chiesa deve raccogliere i cocci dei danni che queste leggi producono! Facciamo un appello agli stati perché rispettino la legge naturale”. Ammetto che fra i cristiani molti sono influenzati dal secolarismo, nel loro intimo vorrebbero quel tipo di libertà che vedono in Occidente riguardo ai rapporti affettivi e sessuali, ma le leggi in vigore li trattengono, e noi come Chiese lavoriamo per ricondurli ai valori cristiani».
L’uomo orientale, ancor oggi antropologicamente diverso dall’uomo occidentale, in maggioranza aderisce all’islam. «I musulmani sono convinti che conquisteranno l’Occidente, anche quelli fra loro che non sono jihadisti o estremisti. Gliel’ho sentito dire molte volte: “Conquisteremo l’Europa con la fede e con la fecondità”. Professare la fede per loro è il principio essenziale della vita, nessuno che appartenga a una religione può astenersene. Che da parte loro la professione sia genuina o puramente sociologica è questione controversa, ma un fatto è certo: è generalizzata, nessuno può astenersene. Allora quando vengono in Europa e vedono le chiese vuote, e constatano l’incredulità degli europei, immediatamente pensano che loro riempiranno quel vuoto. Poi c’è la questione della natalità: per i musulmani il fatto che il matrimonio sia un’istituzione divina significa che la volontà di Dio è la procreazione. Perciò le famiglie devono essere numerose. In Europa vedono che i matrimoni e le nascite sono sempre meno, e questo li convince che loro prenderanno il vostro posto. I musulmani non concepiscono il celibato, nemmeno quello consacrato: considerano ogni forma di celibato scandalosa, perché contraria alla volontà di Dio, che vuole la procreazione».
I resti dei crociati
Ma i cristiani con cui i musulmani entrano più spesso a contatto non sono quelli europei, bensì quelli dei loro stessi paesi. «È un rapporto più complesso di quello che molti di voi immaginano», spiega il patriarca maronita. «Nel loro intimo, i musulmani pensano che i cristiani debbano fare il passo che li porterebbe a diventare musulmani: nel disegno divino il cristianesimo doveva soppiantare l’ebraismo, e l’islam è l’ultima rivelazione, quella che soppianta il cristianesimo. Perciò i cristiani non sono mai veramente accettati come tali. Eppure nella vita quotidiana i musulmani hanno più fiducia in noi che negli altri musulmani. Ci apprezzano per il nostro livello culturale, per le nostre capacità professionali e per le nostre qualità morali. Siamo ricercati per queste caratteristiche. Nei paesi del Golfo i lavoratori immigrati che ricoprono i posti di maggiore responsabilità sono cristiani, orientali od occidentali: gli emiri e gli altri dirigenti sanno che siamo professionalmente qualificati, onesti e non ci immischiamo nelle questioni politiche. Per loro è cosa pacifica: i cristiani sono “migliori” di loro sotto tutti gli aspetti. Quando la realtà non corrisponde alle aspettative, reagiscono molto male. Un’altra situazione nella quale noi cristiani orientali ci troviamo in difficoltà, è quando ci sono tensioni fra i paesi musulmani e gli Stati Uniti o i paesi europei: allora le politiche dell’Occidente vengono etichettate come “cristiane”, e noi veniamo tacciati di essere i resti dei crociati e del colonialismo, anche se in realtà eravamo già lì alcuni secoli prima che apparisse l’islam!».
Ma pare che ci sia una questione, molto recente, per la quale i musulmani vanno dai cristiani col cappello in mano. «La maggioranza dei musulmani è moderata, posso dirlo perché ne conosco tanti sia fra le autorità religiose sia fra la gente comune. Lo avete visto anche voi in Egitto: quando i Fratelli Musulmani hanno cominciato a governare, la gente s’è stancata subito. Però difficilmente prendono posizione contro gli estremisti. Qualche tempo fa c’è stato un intervento autorevole di condanna delle azioni dell’Isis, ma non tanto forte. Per due ragioni. La prima è che per loro l’appartenenza religiosa viene prima di quella al paese, e quindi se c’è una motivazione religiosa musulmana negli atti di qualcuno, non se la sentono di condannare. La seconda è che, almeno in Libano, i musulmani sunniti hanno i loro referenti nell’Arabia Saudita e nei paesi del Golfo, gli sciiti nell’Iran, perciò non prendono posizioni se non arrivano direttive. Alla fine succede che molti leader religiosi musulmani vengono da noi e ci chiedono di dichiarare pubblicamente le cose che loro vorrebbero ma non possono dire».
Naturalmente la cosa che preoccupa di più il patriarca è la guerra nella confinante Siria e in Iraq, e le sue conseguenze. «Tutta la comunità internazionale deve attivarsi per mettere la parola fine a queste guerre. Si discute di come ripartire il flusso dei profughi fra i paesi europei, ma non si discute di come chiudere il rubinetto che produce quel flusso! Se continua l’esodo, se ne andranno le forze migliori dal Vicino Oriente, se ne andranno i cristiani e resteranno solo gli estremisti. Senza cristiani l’Oriente perde lo strato più profondo della sua identità, questo lo sanno anche i musulmani».
Le fatiche del Libano
«Dovete aiutarci a restare, non a emigrare! Questa omissione di interventi efficaci ci fa sospettare che esista un piano di distruzione del mondo arabo. Com’è possibile che dopo dieci anni di guerra in Iraq e quattro in Siria ancora non si cerchi una soluzione politica, ma si insista con quella militare? L’ho detto apertamente agli ambasciatori di alcuni paesi arabi a proposito del conflitto siriano: dove volete arrivare? Perché siete disposti a pagare qualsiasi prezzo per eliminare Bashar el Assad? State spendendo 100 mila dollari per qualcosa che ne vale mille! Il Libano è il paese più minacciato dalla crisi, perché ormai un abitante su quattro da noi è un profugo siriano. La pressione sull’economia, sui servizi, sulle infrastrutture sta diventando insopportabile».
Gli si fa presente che il Libano ha anche un problema istituzionale: dal maggio 2014 il paese non ha un presidente. Tempo di riformare la costituzione nazionale? «No», risponde. «La costituzione è già stata riformata nel 1989, in concomitanza con gli accordi per la fine della guerra civile. Adesso al massimo servirebbe qualche ritocco. Ma tutto è bloccato a causa della rivalità regionale fra Arabia Saudita e Iran, che sono le due potenze dietro alle due principali coalizioni politiche libanesi: la “14 marzo” e la “8 marzo”. Non solo il futuro della Siria, anche quello del Libano dipende dall’esito di quella rivalità».
Redazione Papaboys (Fonte www.tempi.it/Rodolfo Casadei)