In edicola su Panorama un servizio a firma del vaticanista Ignazio Ingrao che identifica “perfettamente” la nuova generazione di giovani che segue Papa Francesco. Anche se i “lupi” (perchè lupi sono ndr) continuano a scrivere di non chiamarci “papaboys” , i giornalisti che sono chiamati a raccontare la verità e capiscono anche le tendenze e le mode utili, continuano invece ad utilizzare questo neologismo, che alla fin dei conti, ai giovani del papa piace. Ed anche a noi dell’Associazione che ne rappresenta qualche migliaio, ovviamente. Una delle più importanti intuizioni di Ingrao è l’appartenenza di questi giovani; meno movimenti e più parrocchia: questa è la vera speranza della gioventù di oggi. Ed anche il sogno della nostra piccola realtà: cerchiamo di non lavorare per noi, ma veramente per la Chiesa. E se si vuole lavorare per la Chiesa l’impegno deve essere quello di orientare nuovamente la gioventù alle parrocchie, specialmente riportarla nelle parrocchie di appartenenza. Non è una strada facile, ma con l’aiuto e la testimonianza del Papa, dei Vescovi e dei Parroci, alcuni ovviamente da “risvegliare” dal profondo sonno movimentarista… Leggiamo insieme il servizio di Panorama. Per noi – lo ripetiamo – questo articolo rappresenta la realtà al 100%.
Nuova generazione papaboys: la Giornata mondiale della gioventù (Gmg) di Rio de Janeiro ha visto cambiare l’identikit dei giovani che si radunano intorno a Papa Francesco rispetto a quelli che accorrevano da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La prima generazione di papaboys, quella «stregata» da Papa Wojtyla, era composta per lo più da giovanissimi provenienti dai movimenti: Comunione e liberazione, Neocatecumenali, Rinnovamento nello spirito, Focolarini, Comunità di Sant’Egidio, Scout. Amavano le chitarre e gli slogan, la Giornata mondiale della gioventù era una sorta di Woodstock cattolica, anche con qualche concessione alla trasgressione.
Con Ratzinger la musica è cambiata: le chitarre hanno lasciato il posto al canto gregoriano, l’adorazione eucaristica ha sostituito le «ola» per Wojtyla. I papaboys 2.0, al tempo di Benedetto XVI, erano più riflessivi e più legati alla tradizione. Ai grandi raduni di piazza preferivano le messe.
A Rio de Janeiro si è affacciata la terza generazione. I Bergoglioboys sono un po’ più grandi di età dei loro predecessori, più informati e aggiornati, si tengono in contatto con i social network, non hanno paura di criticare la Chiesa e non appartengono solo ad associazioni e movimenti. Molti arrivano dalle parrocchie, altri non sono neppure credenti e sono numerosi quelli che nel tempo libero fanno volontariato o si impegnano sulle frontiere della lotta per la legalità o della difesa dell’ambiente.
Sono più consapevoli e critici, assai meno militarizzati di quelli di Wojtyla che rispondevano ai leader dei loro movimenti. Dal punto di vista politico i papaboys restano bipartisan: da Wojtyla a Bergoglio destra e sinistra per loro non sono motivo di divisione. Anche se i papaboys di Francesco si sentono più vicini al territorio e assai più «terzomondisti» di quelli che seguivano Ratzinger. La Chiesa di Bergoglio parla la lingua dei poveri ma resta esigente sul fronte della morale sessuale. Molti ragazzi a Rio esibivano il «tau», la piccola croce di legno francescana a forma di T. Jorge Mario Bergoglio ha riacceso, tra i papaboys, anche la devozione alla Madonna: in Brasile c’erano tanti ragazzi devoti alla Vergine di Medjugorje oppure ai santuari mariani latinoamericani.
Il pontefice chiama a raccolta anche giovani gay e divorziati. E non mancano persino i cristiani non cattolici, gli ebrei e i musulmani. Papa Francesco insomma è trasversale, i fedeli si mescolano ai curiosi sperando di stringere la mano o di incrociare lo sguardo del vescovo di Roma arrivato al soglio «dalla fine del mondo».
Link all’articolo originale:
http://news.panorama.it/cronaca/papa-boys-francesco
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