Italiae et Ecclesia

I profughi a pranzo con Papa Francesco: ‘Era commovente vedere i frati che servivano noi poveri’

Parlano tutti di una “grande gioia” i 25 profughi che hanno partecipato oggi al pranzo con Papa Francesco e gli altri ospiti dell’incontro “Sete di Pace” ad Assisi. Nel Refettorio del Sacro Convento si sono sentiti accolti, stretti nell’abbraccio di tutte le religioni del mondo.

La maggior parte di loro sono ospiti della Comunità di Sant’Egidio, che, con la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese, ha permesso loro di fuggire da Paesi segnati da guerre violenze attraverso i corridoi umanitari. Gli altri vengono dal centro Cara di Roma, dove si era recato il Pontefice nell’ultimo Giovedì Santo per la lavanda dei piedi, o dalla Caritas di Assisi.

Tutti affermano che è stata una forte emozione vedere dal vivo un personaggio ammirato sempre in televisione come Papa Francesco. Il Pontefice, poi, ha rivolto a tutti parole di affetto: “Non siete rifugiati, siete benvenuti!”, ha detto Bergoglio che già aveva abbracciato i profughi in mattinata nel Chiostro di Nicolò V.

Con qualcuno si era soffermato pure a parlare per chiedere della loro storia, della fuga dalla loro terra d’origine e di questa ‘nuova vita’ in Italia. Janin, 7 anni, ha stretto le braccia intorno al collo del Pontefice. La piccola è approdata nella penisola con la mamma Rasha lo scorso febbraio, grazie ai corridoi umanitari di Sant’Egidio. Di origine palestinese, la bimba e sua madre vivevano in un campo profughi alla periferia di Damasco fino alla fuga in Libano.

Con gli stessi corridoi è arrivato anche Kevork Istanbuilan, armeno siriano, insieme a sua moglie, il cognato e i suoceri. Lui viveva ad Aleppo “una città martire, come ci ha detto anche il Papa”. “Siamo andati via quattro mesi fa per venire in Italia”, racconta. “Vivevamo in una zona che fortunatamente non era controllata dai jihadisti perché altrimenti saremmo stati tutti massacrati. È forte questo che dico, ma è la verità…”.

“Abbiamo sofferto tanto tanto, abbiamo visto troppi morti, troppe sofferenze”, spiega Kevork. E aggiunge: “Voglio ogni bene per la Siria, spero che con le nostre preghiere scenda la benedizione del Signore e finisca questa guerra”.

Per ora l’uomo non ha nessun progetto: “Voglio rimanere in Italia perché la amo” confida, “ho visitato tanti luoghi, ho tanti amici, i vicini di casa ci aiutano con l’italiano, con la spesa ecc”. Tuttavia la speranza di tornare in Siria è ancora viva: “Il mio Paese è nel mio cuore, nessuno può negare il posto in cui è nato e cresciuto”.

“Per noi armeni – sottolinea Kevork – è il secondo esodo dopo quello del 1915 a causa della persecuzione turca. I miei genitori e i miei nonni hanno lasciato i loro beni in Turchia, e poi sono riusciti ad entrare ad Aleppo dove sono stati accolti, hanno ricostruito la loro casa e la loro vita. Spero che accada per noi lo stesso e, soprattutto, che questo sarà l’ultimo esodo per noi”.

Sul pranzo con il Papa e gli altri 500 leader religiosi, il siriano dice: “È stata una sensazione inspiegabile, eravamo tutti emozionati, anche io che avevo incontrato Giovanni Paolo II due volte e Francesco tre. Mio suocero mi ha detto: ‘Io amo il Santo Padre, meno male che negli ultimi anni della mia vita ho potuto incontrarlo di persona’”.

Per Kevork, tuttavia, il momento più bello è stato “vedere i frati che servivano noi rifugiati. Ho ricordato i miei amici francescani in Siria e ho visto la stessa fratellanza, accoglienza. Ho visto in questo pranzo l’amore di San Francesco nel servire i poveri e gli indigenti, che oggi siamo noi profughi”.

Mentre Kevork parla, al suo fianco c’è la famiglia Younan che annuisce. Anche loro sono ospiti di Sant’Egidio nella sede di Trastevere. Sono Fadi e Ruba, cattolici assiri, lui sulla sedia a rotelle per una disabilità congenita, lei con il braccio destro amputato per un’operazione sbagliata, e il figlio 11enne Murkus, che parla bene l’italiano ma si vergogna a farlo davanti alle telecamere.

La famiglia è fuggita da Hassaké, quartiere cristiano di Aleppo dove attualmente la circolazione è divenuta quasi impossibile a causa dell’aumento delle barricate militari, nonostante l’annuncio della tregua tra esercito arabo-siriano e forze curde che prevedeva proprio la smilitarizzazione della zona.

Anche i loro familiari sono scappati per la guerra e ora sono sparsi per tutta Europa. Papa Francesco gli ha regalato un quadro della Vergine Maria. “Sono contentissima”, commenta la donna, “il Papa ci ha salutato ognuno mano a mano, è stato bellissimo”.



Contente sono anche le nigeriane Evelyn – che faceva da ‘traduttrice’ dall’arabo tra i profughi e i giornalisti – e Paulina, fuggita da una regione insanguinata da Boko Haram.Arrivata a Lampedusa il 23 luglio scorso dopo un viaggio in gommone, la donna, che ha attraversato “tante torture” è stata portata a Ponte Galeria, dove ha vissuto due mesi. Lì è stata stata “salvata” da Sant’Egidio, racconta. “La mia vita era piena di dolore, disperazione, stanchezza, non sapevo da dove venivo e dove andare, loro mi hanno detto che c’era ancora speranza, mi hanno portato a una scuola italiana e poi ad una sartoria per nove mesi”.

“Questo vestito l’ho cucito da sola”, dice fiera mostrando il suo abito multicolore, tipicamente africano. “L’ho detto anche al Papa oggi. Ho avuto la grande possibilità di incontrarlo, non una cosa così facile. Gli ho detto anche che vorrei battezzarmi e lui mi ha dato altra speranza: sono molto contenta”.

Tra i commensali del Papa c’erano anche Enes, in fuga dall’Eritrea, e Alou, 24 anni, originario del Mali, sopravvissuto a un terribile viaggio su un barcone dalla Libia alla Sicilia. Anche lui è ospite a Roma di Sant’Egidio, mentre la sua famiglia è rimasta in Mali. “È stato un sogno vedere il Papa davanti a noi”, ci dice, “ho parlato con lui della mia storia e di pace, perché oggi è una giornata di pace per tutti”. “Io ho lasciato la mia terra per cercare la pace – afferma il giovane che stringe tra le mani la medaglia donatagli da Papa -, quindi vedere oggi che tutte le religioni si sono riunite qui per parlare di pace è una cosa che mi commuove profondamente”.



Redazione Papaboys (Fonte it.zenit.org)

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