Nessuna partita scontata, diffuso equilibrio tra le squadre e gare risolte da episodi il più delle volte favoriti da giocate singole che fanno la differenza. Il Mondiale entra quindi nel vivo, nella sua settimana clou, lasciandosi dietro alcune polemiche, nonché gesti esasperati ed esasperanti, dentro e fuori dal campo: dai morsi di Suarez, sanzionati a dovere, all’intervento killer di Matuiti che rompe tibia e perone al laziale Onazi e all’accusa di combine avanzata da qualcuno alla compagine camerunense. Un Mondiale che ha visto “scendere in campo” anche i Presidenti, dai commenti sopra le righe dell’uruguaiano Mujiica all’ottimismo aperto alla speranza di Barak Obama, che incoraggiato la sua nazionale dopo la sofferta eliminazione agli ottavi. Primi bilanci: fallimento della scuola italiana (Prandelli, Zaccheroni, Capello, quest’ultimo atteso dinanzi al Parlamento russo per spiegare le cause dell’insuccesso) e inattesa debacle delle squadre afro/asiatiche.
Malgrado tutto si va avanti e adesso tutti proiettati verso il tabellone del quarti di finale che presenta molteplici suggestioni. A confrontarsi alla pari, per numero di squadre che vi hanno avuto accesso, due aree geografiche ben distinte: da una parte il Sud America con il Brasile, l’Argentina e la Colombia insieme alla favola Costarica (Centro America) e poi la vecchia Europa con Germania, Francia, Olanda e Belgio.
Gli abbinamenti delle gare vedranno fronteggiarsi dapprima due esponenti della scuola europea, Francia e Germania. Ritorno al passato, match storico quello franco/tedesco. Un segnale incoraggiante ci proviene dai transalpini che dopo la fallimentare partecipazione agli scorsi mondiali si sono riproposti con una squadra che ha saputo ripartire da alcuni giovani talenti. Del resto è già vero sul piano antropologico che l’esperienza del proprio limite e della propria inadeguatezza può favorire il sorgere dell’umiltà. Se ciò è accaduto ai galletti francesi ci chiediamo come mai destino simile non sia capitato alla italica stirpe (calcistica), visto che dopo aver vinto nel 2006, due eliminazioni al primo turno dovrebbero dire qualcosa. Se poi guardiamo all’inossidabile Germania reduce da due terzi posti consecutivi, osserveremo che lì il ricambio generazionale è stato accompagnato da un’organizzazione impeccabile e una corretta gestione delle risorse umane e logistiche.
Il secondo quarto vedrà di fronte i padroni di casa del Brasile contro la squadra che ha fin qui espresso il miglior calcio, la Colombia. Resa dei conti fra i due numeri 10 Neymar e James Rodriguez. Difficile prevedere chi proseguirà, se il calcio meno samba del solito di un Brasile più contropiedista oppure la voglia di stupire di una Colombia orfana del bomber Falcao. Gara emotivamente intensa e psicologicamente non facile da approcciare. Per il Brasile il dover corrispondere alle attese della propria gente potrebbe rivelarsi un effetto boomerang, mentre per la Colombia ci potrebbe essere o il peso della pressione di una sorta di sudditanza mentale verso coloro che sono considerati favoriti oppure al contrario la leggerezza di chi sa che non ha nulla da perdere.
L’indomani sarà la volta di Argentina – Belgio e Olanda – Costarica. Non hanno fin qui entusiasmato Messi e compagni, che hanno potuto contare sull’aiuto della dea bendata. La precedente partita degli ottavi, quasi un derby in Vaticano, ha fatto esprimere qualcuno nei termini del “palo de Dios”, facendo riferimento al palo colpito dallo svizzero Dzemaili al 121’, parafrasando la nota “mano de Dios” del pibe de oro a Mexico ’86. Adesso la Albiceleste si troverà di fronte un Belgio ricco di talenti, che ha saputo ben investire sui giovani, molti dei quali sono accasati in squadre di prestigio in Europa dove hanno potuto acquisire esperienza e valore. Una lezione che suona come monito alla nostra Italia, stigmatizzata da un commento di Buffon che merita di non esser lasciato cadere: “Non bastano tre o quattro partite per essere un campione … ho giocato in nazionale due anni dopo l’esordio .. e adesso un ragazzo dopo tre buone partite è in nazionale e dà per scontato tutto”, cui segue un suggerimento pratico operativo: “Li manderei (i giovani) ad arare i campi della A”. Linguaggio un po duro che sottende un fatto incontestabile, in certi contesti ovattati, ormai di casa anche nelle nostre società, sta venendo meno l’educazione al sacrificio, il senso e il valore della gavetta. Un fattore che si può osservare anche in ambiti extracalcistici come la musica. Un tempo si arrivava a Sanremo dopo anni di gavetta, oggi basta il consenso popolare di un format televisivo. Una responsabilità che, ritornando al calcio, vede coinvolti anche i procuratori dei calciatori, che si occupano dei loro assistiti come se fossero dei prodotti da sponsorizzare al miglior offerente. E la qualità? Rimango sempre dell’idea che i migliori calciatori sono quelli che giocano per strada, nelle piazze, ma lì, nelle periferie, nessuno li vede. Chissà se una Chiesa aperta alla ministerialità delle periferie e alle marginalità possa offrire un percorso o quantomeno delle idee anche ad altri settori della politica e della cultura, finanche dello sport.
Ultimo match dei quarti la sfida tra Olanda e Costarica. Ricca di soluzioni tattiche la squadra di Van Gaal, mentre appare solida e organizzata la matricola Costarica. Un milione di persone sono scese in piazza a San José per festeggiare la storica vittoria agli ottavi contro la Grecia. Un popolo in festa che già quest’anno è stato baciato dalla grazia divina, pensiamo a Floribeth Mora la costaricense guarita per intercessione di Giovanni Paolo II.
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