Oggi, a proposito di libri, si parla tanto di nativi digitali (termine coniato da Marc Prensky che indica chi è nato e cresciuto contemporaneamente alla diffusione delle moderne tecnologie), in una accezione spesso negativa volta a demonizzare chi fa uso di mezzi tecnologici a scapito della tradizione, della carta, del testo in carne e ossa. Eppure i “nativi digitali” non sono nati tali, sebbene a qualcuno piace pensarla così. Sono nati come i loro padri e come i loro nonni, e il fatto che siano diventati familiari con il digitale è un’acquisizione culturale, non biologica. È per questo motivo che preferiscono leggere e studiare sul libro di testo tradizionale, su un volume a stampa che sa di antico, come una “roba” di cinque secoli fa (Gutenberg e Manuzio docent
), come un residuo evolutivo del loro passato.Per approdare ad una simile certezza ci siamo serviti degli studi condotti dall’Università di Washington (secondo cui un quarto di studenti universitari preferisce pagare per avere un libro di carta che esiste gratuitamente in digitale) o dell’indagine della società inglese Voxburner in base alla quale i giovani tra i 16 e 24 anni preferiscono i libri di carta perché amano «l’odore e gli scaffali pieni». Certamente tutte queste ricerche scientifiche, confortate dalle opinioni di esperti o cognitivisti, come nel caso di Maryanne Wolf («Girare le pagine di un libro di carta è come lasciare una impronta dopo l’altra su una pista, c’è un ritmo e un ricordo visibile del viaggio che è stato fatto»), dimostrano che la carta è ancora viva.
Eppure questa realtà ha un sapore meno scientifico, la si può osservare anche senza numeri o percentuali. È davanti ai nostri occhi: gli e-book, i tablet, le nuove lavagne interattive ci offrono sussidi, non sostituti.
Dunque, il perché i ragazzi preferiscano (ancora!) il caro vecchio libro di carta è facilmente intuibile. Perché – dicono – scarabocchiano, fanno le pieghe, annusano l’odore delle pagine, sottolineano, imparano e – osano aggiungere – leggono profondamente!
Redazione Papaboys (Fonte cogitoetvolo.it/
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