Tutte le strade portano a Roma», dice un proverbio, e da Roma partono alcune delle più celebri vie del mondo. Su due di esse, verso sud-est e ovest, l’Ardeatina e l’Aurelia, sono stati sepolti i martiri Nereo e Achilleo, e Pancrazio. Benché ricordati tutti e tre al 12 maggio, il loro culto è stato sempre separato, come precisano gli estensori del nuovo calendario:
La memoria dei Ss. Nereo e Achilleo e la memoria di S. Pancrazio vengono celebrate separatamente con formulari propri secondo l’antica tradizione romana. Invece la memoria di S. Domitilla, introdotta nel Calendario romano nel 1595, viene cancellata, poiché il suo culto non trova alcun fondamento nella tradizione ». Ciò risolve anche la questione dell’epoca in cui Nereo e Achilleo diedero la loro testimonianza.
Papa Damaso, che poco dopo la metà del sec. IV parlava con inconsueta sicurezza dei due martiri, riferisce che essi vissero alla fine del sec. III e morirono durante la persecuzione militare con cui si aprì I’« èra dei martiri» dioclezianea. Essi erano in forza presso il tribunale di un «tiranno », del quale applicavano gli ordini di tortura e di esecuzione dei «ribelli» cristiani, finché, colpiti dal coraggio e dalla costanza dei martiri cristiani, decisero di seguirne l’esempio. Privati delle insegne militari, vennero a loro volta condotti al supplizio, affrontato con coraggio e gioia.
Il bassorilievo che rappresenta S. Achilleo colpito dal carnefice viene considerato la più antica rappresentazione rimastaci di martirio. Si abbandona così quanto riferiva una tardiva e leggendaria Passione del sec. VI, che fondeva la tradizione del martirio di Nereo e Achilleo con quelli di Petronilla e Domitilla, rispettivamente figlia di S. Pietro e nipote dell’imperatore Domiziano.
Anche la storia di S. Pancrazio, morto in giovane età sotto Diocleziano, è stata arricchita di tanti elementi leggendari dalia sua tardiva Passione che è ben difficile isolare le reali vicende storiche di questo che è stato uno dei santi più popolari non solo a Roma e in Italia, ma anche all’estero: è patrono della Gioventù di Azione Cattolica e a lui sono stati dedicati chiese e monasteri: quello di Roma venne fondato da S. Gregorio Magno e quello di Londra da S. Agostino di Canterbury (a S. Pancrazio s’intitola anche una stazione della metropolitana londinese, e inglese era il Wiseman, che fece di S. Pancrazio uno dei personaggi principali di Fabiola). La leggenda lo ha reso un rigoroso vindice della veracità dei giuramenti. La sua basilica era una delle stazioni quaresimali.
San Pancrazio
Consumatosi così il martirio del ragazzo, Ottavilla, illustre matrona romana, raccolse il capo ed il corpo, li unse con balsami, li avvolse in preziosi lini e li depose in un sepolcro nuovo, appositamente scavato nelle già esistenti Catacombe del suo predio. Sul luogo del martirio leggiamo ancora oggi: “Hic decollatus fuit Sanctus Pancratius” (Qui fu decollato San Pancrazio). In seguito il capo del martire fu posto nel prezioso reliquiario che ancor oggi si venera nella Basilicali San Pancrazio. I resti del corpo del piccolo martire, invece, sono conservano nell’urna posta sotto l’altare maggiore insieme alle reliquie di altri martiri.
La vicenda di San Pancrazio ha talvolta suscitato tra gli eruditi diverse contestazioni. In essa si riscontrano infatti anacronismi di rilievo ed altri difetti che rilevano innegabilmente il comune armamentario agiografico di cui si servivano i biografi per soddisfare la curiosità dei devoti di un santo. La critica demolitrice non è però andata molto oltre. E’ pur certo che le redazioni latine e greche delle Gesta di San Pancrazio arrivate sino a noi abbiano bisogno dello sfrondamento dalle molte alterazioni contenute, ma comunque al fondo di tali narrazioni si possono riscontrare alcuni elementi sicuramente attendibili. Non si potrebbe spiegare altrimenti come già sul finire del V secolo fosse sicuramente attestato un fervente culto verso un martire di cui non si sapeva molto più che il nome ed il luogo della sepoltura. Gli Acta narranti il martirio di San Pancrazio non sono affatto contemporanei ai fatti accaduti e, secondo gli studiosi, risalirebbero a circa due secoli dopo. Sembra infatti che vennero compilati definitivamente nel VI secolo, periodo che si rivelò di massimo fervore del culto tributato al martire ed in concomitanza con l’edificazione della grande basilica voluta da Papa Simmaco per tramandarne la memoria. Tale ritardo nello stendere le passiones è infatti così spiegato dal Grisar: “poiché le persecuzioni pagane spesso avevano distrutto precisamente gli scritti che trovavansi in possesso della Chiesa, gli atti genuini dei martiri, quali erano stati copiati dai protocolli giudiziari, e le altre narrazioni composte da cristiani contemporanei erano andate perdute in massima parte. Di molti martiri poi nella distretta delle ostilità pagane mai furono redatte narrazioni precise, mentre invece nell’età della Chiesa trionfante, specialmente dacché il pubblico culto dei coraggiosi testimoni della fede per due o tre secoli ebbe preso il più grande slancio e s’erano accresciute le curiosità dei pellegrini sulle circostanze della loro persona e morte, a poco a poco ogni martire dovette avere la sua passione”. Sorge inoltre anche un’altra difficoltà: la “Passio sancti Pancratii” è giunta sino a noi in diverse redazioni differenti tra loro, ma ciò non deve meravigliare, in quanto i codici sono dipendenti l’uno dall’altro, venivano trascritti a distanza di tempo e spesso il copista abbelliva a proprio gusto il testo su cui lavorava. Un incalcolabile numero di manoscritti contenenti la suddetta leggenda è custodito in numerose biblioteche d’Italia e d’Europa, motivo per cui risulterebbe impresa ardua se non impossibile il tentare un raffronto ed una classificazione dei codici originali.
Il Cardinale Baronio, autore nel XVI secolo della più grande storia della Chiesa, ricordò San Pancrazio nella sua monumentale opera, gli Annales Ecclesiastici: “Rursus etiam, quod spectat ad martyres Romae passos, sustulit haec persecutio Rufum virum nobilem, una cum omni familia sua, quarta kalend. Decembris; sed et nobilem specimen christianae constantiae duo pueri ediderunt, quorum prior maxime commendatur Pancratius quatuordecim annos natus; sed et alius quoque aetate minor Crescentius, qui sub Turpilio (seu Turpio) judice, via Salaria gladio passus est” (C. Baronio, Annales, III). Anche se essenziale, la citazione del martirio di Pancrazio è basata dal Baronio su fonti storiche antiche e degne di fede.
Dall’iconografia del santo, che sovente viene raffigurato come un giovane soldato, nasce un’altra curiosità. Bisogna chiarire innanzitutto come a quel tempo la carriera militare era certamente la più promettente per i giovani rampolli delle nobili e ricche famiglie come quella di Pancrazio, in un impero che della guerra aveva fatto la sua fortuna oltre che il mezzo per sottomettere il mondo. Non avendo però validi motivi per affermarlo, è preferibile ipotizzare che l’abito e la posa del combattente nelle quali egli viene posto siano motivati dall’etimologia del suo nome che significa in greco “lottatore”, che in questo caso farebbe riferimento alla lotta da lui combattuta per testimoniare la fede cristiana.
Il Martyrologium Romanum ancora oggi riporta in data 12 maggio la commemorazione “A Roma, al secondo miglio lungo la Via Aurelia, memoria di S. Pancrazio, che ancora adolescente fu ucciso per la fede di Cristo; presso il luogo della sua sepoltura papa Simmaco innalzò la celebre basilica, e papa Gregorio Magno non perse occasione per invitare il popolo ad imitare un simile esempio di verace amore a Cristo. In questa data si commemora la deposizione delle sue spoglie”. Il Messale Romano ed il Breviario, conformemente al calendario liturgico della Chiesa, riportano sempre in tale data la “memoria facoltativa” del santo martire.
San Pancrazio, patrono dei Giovani di Azione Cattolica, è stato indubbiamente uno dei santi più popolari non solo a Roma ed in Italia, ma anche all’estero. A lui sono stati dedicati chiese e monasteri: quello di Roma venne fondato da San Gregorio Magno e quello di Londra da Sant’Agostino di Canterbury, che da il nome anche ad una stazione della metropolitana londinese. Degno di nota è anche il santuario di San Pancrazio presso Pianezza, nella prima cintura torinese, legato ad un fatto miracoloso avvenuto il 12 maggio 1450 al contadino Antonio Casella. Questi, mentre falciava il prato tagliò inavvertitamente un piede alla moglie, venuta a portargli qualcosa da mangiare. I coniugi, angosciati, pregarono il Signore e furono confortati dall’apparizione di San Pancrazio che promise la pronta guarigione in cambio dell’erezione di un luogo di culto. Nacque così un pilone votivo che si ampliò sino a divenire il grande santuario ancora oggi meta di pellegrinaggi. Non bisogna però confondere il fanciullo martire romano venerato a Pianezza con un altro santo omonimo venerato in Piemonte, che nel grande dipinto del Santuario di Castelmagno (Cn) è raffigurato insieme ai santi Maurizio, Costanzo, Ponzio, Magno, Chiaffredo e Dalmazzo in abiti militari, quali presunti soldati della mitica Legione Tebea.
Autore: Fabio Arduino
Santi NEREO ed ACHILLEO, martiri
Il documento più antico sui santi Nereo ed Achilleo, martiri romani, è l’epigrafe scritta in loro onore da papa San Damaso nel IV secolo. La testimonianza di numerosi pellegrini ne ha tramandato il contenuto prima che essa venisse distrutta. L’archeologo Giovanni Battista De Rossi nel XIX secolo ne ha rimesso insieme i frammenti: “I martiri Nereo e Achilleo si erano arruolati nell’esercito ed eseguivano gli ordini di un tiranno, ed erano sempre pronti, sotto la pressione della paura, ad obbedire alla sua volontà. O miracolo di fede! Improvvisamente cessò la loro furia, si convertirono, fuggirono dal campo del tiranno malvagio, gettarono via gli scudi, l’armatura e i giavellotti lordi di sangue. Confessando la fede di Cristo gioirono nell’unire la loro testimonianza al suo trionfo. Impariamo dalle parole di Damaso quali cose grandi opera la gloria di Cristo”.
Pare dunue certo che fossero pretoriani e che, più o meno improvvisamente, abbiano deciso di convertirsi al cristianesimo, pagando con il loro sangue la loro fede. Nel 1874 il De Rossi scoprì le loro tombe vuote ed una scultura contemporanea in una chiesa sotterranea fatta edificare da papa Silicio nel 390. Il loro sepolcro consisteva in una tomba di famiglia, situata nel cosiddetto cimitero di Domitilla, come sarà denominato più tardi. Intorno al Seicento San Gregorio Magno pronunciò una solenne omelia a loro dedicata: “Questi santi, davanti ai quali siamo radunati, odiarono il mondo e lo calpestarono sotto i propri piedi quando la pace, le ricchezze e la salute esercitavano il loro fascino”.
La chiesa venne ricostruita nel IX secolo da papa Leone III, ma era nuovamente in rovina quando il Cardinal Baronio, famoso studioso oratoriano del XVI secolo, la fece restaurare per traslarvi le reliquie dei due santi, che erano state trasferite in Sant’Adriano.
I loro “Acta” leggendari hanno ben poca credibilità e paiono essere stati scritti onde giustificare la presenza delle loro reliquie nel cimitero di Domitilla: a tal fine si cercò infatti di legare la vicenda del loro martirio a quella della santa nipote dell’imperatore Domiziano. Secondo tali resoconti furono esiliati insieme sull’isola di Terracina: Nereo ed Achilleo venero poi decapitati, mentre Domitilla fu arsa viva, essendosi rifiutata di sacrificare agli idoli.
Autore: Fabio Arduino