Nacque nel 1330 a Nepomuk, in Boemia, fu consacrato sacerdote a Praga e divenne predicatore di corte del re Venceslao. La moglie del re, Giovanna di Baviera, conosciutolo, lo scelse come confessore. Il re, corrotto, sospettava che Giovanna gli fosse infedele e la tormentava spesso per conoscere ciò che esisteva solo nella sua mente. Si rivolse così a Giovanni per conoscere le confessioni della donna. Ma il santo si rifiutò di rispondere. Nonostante le minacce Giovanni si mostrò inflessibile. Tale fermezza gli costò la condanna ad essere gettato nel fiume Moldava. Sul ponte della città tra il sesto e il settimo pilastro venne gettato nella corrente. Era l’anno 1383. (Avvenire)
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall’ebraico
Emblema: Palma, cinque stelle, abito talare
Martirologio Romano: A Praga in Boemia, san Giovanni Nepomuceno, sacerdote e martire, che nel difendere la Chiesa patì molte ingiurie da parte del re Venceslao IV e, sottoposto a torture e supplizi, fu infine gettato ancora vivo nel fiume Moldava.
Il suo culto dovrebbe tornare in auge, visti i sempre maggiori rischi di alluvioni ed esondazioni che minacciano il nostro territorio. Ma lui, Giovanni di Nepomuk, che di ponti acque ed alluvioni varie da sempre è il protettore, emerge dalle nebbie della storia in contorni un po’ sfocati al punto che nei primi decenni del secolo scorso ne fu messa in dubbio addirittura l’esistenza e pertanto numerose sue statue sono state abbattute o rimosse. Cominciamo subito dalla tradizione più antica, messa in dubbio specialmente in ambito protestante, in cui si parla dell’eroismo di un certo “Magister Jan”, originario di Nepomuk in Boemia, che pur di non tradire il segreto della confessione viene gettato vivo nella Moldava, morendovi per affogamento. Protagonisti di questo macabro fatto di cronaca nera che si tinge di martirio, oltre al già citato prete Giovanni, c’è naturalmente un re corrotto e vizioso, non a caso ribattezzato il “re fannullone”, quasi a confermare che l’ozio è davvero il padre dei vizi. E poiché, sempre per rimanere nell’ambito della sapienza popolare, “chi ha il difetto ha il sospetto”, ritiene che viziosi al pari di lui debbano essere tutti, a cominciare dalla regina sua moglie, da lui quotidianamente tradita con le cortigiane di turno e dalla quale ovviamente pretende una fedeltà adamantina. E tale è davvero questa povera regina, che nella fede ha cercato conforto alla sua disastrata situazione coniugale, trascorrendo ore intere in preghiera e accostandosi spesso alla confessione dal prete Giovanni, ottimo predicatore e famoso direttore di coscienze. Nella mente malata di re Venceslao si è introdotto intanto anche il tarlo della gelosia, che prima gli fa immaginare una tresca della moglie con il confessore e poi l’esistenza di un amante di cui il prete non può non essere a conoscenza.
Crede di averne conferma il giorno in cui questi lo svergogna nel bel mezzo di un pranzo luculliano, davanti ad illustri ospiti, perché lo ha sentito ordinare, forse per scherzo, certamente con dubbio gusto, di far arrostire il cuoco che non ha fatto cuocere bene l’arrosto. Il prete Giovanni, che sa fin troppo bene di cosa sia capace la testa matta del re, gli urla in faccia i suoi doveri di sovrano e di cristiano. Re Venceslao se la lega al dito e giura a se stesso di fargliela pagare; così un giorno, prima con le buone, poi con le minacce, gli ordina di raccontare per filo e per segno cosa la regina gli ha detto in confessione, nella speranza di sapere così finalmente qualcosa sulle di lei presunte vicende amorose. Non ha però fatto i conti con la ferma volontà e l’eroismo del prete Giovanni, che fermamente convinto dell’inviolabilità della confessione gli oppone un netto rifiuto. Il re si vendica così di questo e dell’altro “sgarbo” facendolo gettare di notte nel fiume, il 20 marzo 1393; oggi ancora si indica il posto esatto del ponte da dove sarebbe stato gettato e la gente qui passando si toglie il cappello, perché quel prete è stato subito venerato come martire e, per via della morte che ha fatto, lo invocano contro tutti i danni e i pericoli che possono venire dall’acqua. All’epoca della Controriforma, poi, i Gesuiti ne propagandano il culto in polemica con la teologia protestante che rifiuta il carattere sacramentale della confessione, e così Giovanni da Nepomuk (o Nepomuceno) diventa il “martire del confessionale”. Sarà per questo motivo, o forse piuttosto perché le cronache si sono intrecciate e confuse, che compare un altro (o sempre il medesimo?) prete Giovanni, sempre di Nepomuk, intelligente, culturalmente ben equipaggiato, benvoluto dall’arcivescovo di Praga che lo vuole suo vicario. Sullo sfondo sempre il medesimo re Venceslao, che secondo questa tradizione, oltre che vizioso e corrotto, si dimostra anche usurpatore dei diritti della Chiesa. Per i suoi intrighi politici vorrebbe trasformare un’abbazia in sede vescovile da assegnare a persona di suo gradimento, ma anche in questo caso si scontra con l’intransigente volontà di Giovanni, che non gli cede neanche sotto le torture e che per questo viene gettato nel fiume il 16 maggio 1383. Certamente meno suggestiva della prima, anche questa tradizione conferma in ogni caso la resistenza del prete Giovanni allo strapotere del re e nulla, almeno in teoria, vieterebbe che, di entrambe potrebbe essere stato protagonista l’unico eroico prete. Perché da un prete che, per non tradire la confessione, si lascia anche ammazzare ci si può aspettare di tutto.
Autore: Gianpiero Pettiti
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