Vergine eremita del XII secolo, santa Rosalia è divenuta patrona di Palermo nel 1666 con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia. Figlia di un nobile feudatario, Rosalia Sinibaldi visse in quel felice periodo di rinnovamento cristiano-cattolico, che i re Normanni ristabilirono in Sicilia, dopo aver scacciato gli Arabi che se n’erano impadroniti dall’827 al 1072; favorendo il diffondersi di monasteri Basiliani e Benedettini. In quest’atmosfera di fervore e rinnovamento religioso, s’inserì la vocazione eremitica della giovane che lasciò la vita di corte e si ritirò in preghiera in una grotta sul monte Pellegrino, dove, secondo la tradizione, morì il 4 settembre 1160. Nel 1624, mentre a Palermo la peste decimava il popolo, lo spirito di Rosalia apparve in sogno ad una malata, e poi ad un cacciatore. A lui Rosalia indicò la strada per ritrovare le sue reliquie, chiedendogli di portarle in processione per la città. Così fu fatto: e dove quei resti passavano i malati guarivano, e la città fu purificata in pochi giorni. Da allora, a Palermo, la processione si ripete ogni anno. Rosalia, fu inclusa nel Martirologio romano nel 1630 da Papa Urbano VIII. (Avvenire)
In Sicilia vi è un intensissimo culto per tre giovani sante vergini, Lucia di Siracusa, Agata patrona di Catania e Rosalia patrona di Palermo. Il loro culto si è diffuso in tutti Paesi in cui sono arrivate le schiere di emigrati siciliani, che hanno portato con loro il ricordo struggente della natia Isola e delle loro tradizioni, unitamente al culto sincero e profondo per le tre sante siciliane.
Ma se s. Lucia di Siracusa († 304) e s. Agata di Catania († 250 ca.) furono martirizzate durante le persecuzioni contro i primi cristiani, s. Rosalia è una vergine non martire, vissuta molti secoli dopo e divenuta patrona di Palermo nel 1666 con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia.
Ciò nonostante la “Santuzza”, come affettuosamente viene chiamata dai palermitani, si affermò come una delle sante più conosciute e venerate nella cristianità siciliana e in particolare in quella palermitana; ancora oggi in qualsiasi parte del mondo s’incontrino i palermitani, si scambiano il saluto “Viva Palermo e santa Rosalia!”.
Purtroppo sulla sua vita vi sono poche notizie in parte leggendarie, ma piace considerare con lo scrittore fiorentino Piero Bargellini che: “È ben vero che le leggende sono come il vilucchio (pianta rampicante) attorno al fusto della pianta; la pianta già c’era prima che il vilucchio l’avvolgesse. Così la santità già esisteva, prima che la leggenda la rivestisse con i suoi fantastici fiori”.
E questo vale per tutti i santi che in tanti secoli e luoghi, hanno donato la loro vita, spesso patendo il martirio, sono rimasti ignorati a volte anche per lungo tempo, finché la loro esistenza, il loro sacrificio, le loro virtù eroiche non sono pervenuti a conoscenza del popolo di Dio e della Chiesa.
È il caso di s. Rosalia che nacque a Palermo nel XII secolo e, secondo antichi libri liturgici, morì il 4 settembre del 1160 a 35 anni. La leggenda dice che era figlia del Duca Sinibaldo, feudatario, signore di Quisquinia e delle Rose, località ubicate fra Bivona e Frizzi, nel Palermitano, e di Maria Guiscarda, cugina del re normanno Ruggero II; giovanissima fu chiamata nel Palazzo dei Normanni, alla corte della regina Margherita, moglie di Guglielmo I di Sicilia (1154-1166); la sua bellezza attirava l’ammirazione dei nobili cavalieri; il più assiduo pretendente, sempre secondo la tradizione popolare, si vuole che fosse Baldovino, futuro re di Gerusalemme.
Rosalia visse in quel felice periodo di rinnovamento cristiano-cattolico, che i re Normanni ristabilirono in Sicilia, dopo aver scacciato gli Arabi che se n’erano impadroniti dall’827 al 1072; favorendo il diffondersi di monasteri Basiliani nella Sicilia Orientale e Benedettini in quella Occidentale; apprezzando inoltre l’opera religiosa e monastica del certosino s. Brunone e del cistercense s. Bernardo di Chiaravalle.
In quest’atmosfera di fervore e rinnovamento religioso, s’inserì la vocazione eremitica della giovane nobile Rosalia; bisogna dire che in quel tempo l’eremitismo era fiorente in quei secoli, sia nel campo maschile sia in quello femminile.
Seguendo l’esempio degli anacoreti, che lasciati gli agi e la vita attiva si ritiravano in una grotta o in una cella, di solito nei dintorni di una chiesa o di un convento, così da poter partecipare alle funzioni liturgiche e avere nel contempo un’assistenza religiosa dai vicini monaci; così Rosalia si ritirò in una grotta del feudo paterno della Quisquina a circa 90 km. da Palermo sui Monti Sicani in Provincia di Agrigento in territorio di Santo Stefano Quisquina, vicina a un convento di monaci basiliani.
Da lì la giovane eremita, dopo un periodo di penitenza non definito, si trasferì in una grotta sul Monte Pellegrino, stupendo promontorio palermitano; accanto ad una preesistente chiesetta bizantina, in una cella costruita sopra il pozzo tuttora esistente.
Anche qui nei dintorni, i Benedettini avevano un convento e poterono seguire ed essere testimoni della vita eremitica e contemplativa di Rosalia, che visse in preghiera, solitudine e mortificazioni; molti palermitani, salivano il monte attratti dalla sua fama di santità.
Secondo la tradizione morì il 4 settembre, che si presume, dell’anno 1160. In seguito fu oggetto di culto con l’edificazione di chiese a lei dedicate in varie zone siciliane, oltre la cappella già sul Monte Pellegrino e riprodotta in immagine nella cattedrale di Palermo e di Monreale; una chiesa sorse lontano, a Rivello (Potenza) nella diocesi di Policastro.
Ma all’inizio del 1600 il suo culto era talmente scaduto al punto che non veniva più invocata nelle litanie dei santi patroni di Palermo; ciò non esclude comunque un culto ininterrotto anche se di tono minore, durato nei quattro secoli e mezzo, che vanno dalla sua morte al 1600.
Sul Monte Pellegrino fino al primo Cinquecento erano vissuti i cosiddetti “romiti di s. Rosalia” dimoranti in alcune grotte vicine a quella, dove per tradizione era vissuta e morta la giovane eremita.
Verso la metà del sec. XVI, il viceré Giovanni Medina, fece costruire per l’”Ordine Francescano Riformato di Santa Rosalia e del Monte Pellegrino”, un convento accanto alla grotta adattata a chiesa. Ad ogni modo studiosi agiografi hanno trovato documenti che testimoniano, che già nel 1196 e decenni successivi, l’eremita veniva chiamata “Santa Rosalia”.
E arriviamo al 26 maggio 1624, quando una donna (Girolama Gatto) ridotta in fin di vita, vide in sogno una fanciulla vestita di bianco, che le prometteva la guarigione se avesse fatto voto di salire sul Monte Pellegrino per ringraziarla.
La donna salì sul monte con due amiche, era di nuovo in preda alla febbre quartana, ma appena bevve l’acqua che gocciola dalla grotta, si sentì guarita, cadendo in un riposante torpore e qui le riapparve la giovane vestita di bianco, ravvisata come in s. Rosalia, che le indicò il posto dove erano sepolte le sue reliquie.
La cosa venne riferita ai frati eremiti francescani del vicino convento, i quali già nel Cinquecento con il loro superiore s. Benedetto il Moro (1526-1589), avevano tentato di trovare le reliquie senza riuscirvi, quindi ripresero le ricerche, aiutati da tre fedeli, finché il 15 luglio 1624 a quattro metri di profondità, trovarono un masso lungo sei palmi e largo tre, a cui aderivano delle ossa.
Per ordine del cardinale arcivescovo di Palermo Giannettino Doria, il masso fu trasferito in città nella sua cappella privata, dove fu esaminato con i resti trovati, da teologi e medici; il risultato fu deludente, avendo convenuto che le ossa potevano appartenere a più corpi e poi nessuno dei tre teschi trovati, sembrava appartenere ad una donna.
Il cardinale non convinto, nominò una seconda commissione; intanto Palermo fu colpita dalla peste nell’estate del 1624 mietendo migliaia di vittime (la stessa epidemia che colpì Milano e descritta dal Manzoni nei ‘Promessi sposi’).
Il cardinale radunò nella cattedrale popolo e autorità e tutti insieme chiesero aiuto alla Madonna, facendo voto di difendere il privilegio dell’Immacolata Concezione di Maria, che era argomento contrastante nella Chiesa di allora e nel contempo di dichiarare s. Rosalia patrona principale di Palermo, venerando le sue reliquie, quando si sarebbero riconosciute.
A tutto ciò si aggiunge la scoperta di due muratori palermitani, che lavorando nel convento dei Domenicani di S. Stefano, trovarono in una grotta alla Quisquina, il 24 agosto 1624, un’iscrizione latina a tutti ignota, che si credette incisa dalla stessa s. Rosalia, quando vi aveva abitato e che diceva: “Io Rosalia, figlia di Sinibaldo, signore della Quisquina e (del Monte) delle Rose, per amore del Signore mio Gesù Cristo, stabilii di abitare in questa grotta”; che confermava il precedente eremitaggio, seguito poi da quello sul Monte Pellegrino.
L’11 febbraio 1625 la nuova commissione, stabilì che le ossa erano di una sola persona chiaramente femminile, dei tre crani, si scoprì che due erano un orciolo di terracotta e un ciottolone, mentre il terzo che sembrava molto grande, era invece ingrossato da depositi calcarei, che una volta tolti rivelarono un cranio femminile; anche la prima commissione ne riesaminò i resti e concordò con il risultato della seconda commissione.
A ciò si aggiunse un prodigio, un uomo Vincenzo Bonelli essendogli morta la moglie di peste e non avendolo denunziato, fuggì sul Monte Pellegrino e qui gli apparve la “Santuzza” predicendogli la morte per peste e ingiungendogli, se voleva la sua protezione per l’anima, di dire al cardinale che non dubitasse più dell’autenticità delle reliquie e le portasse in processione per la città, solo così la peste sarebbe finita.
Tornato in città, effettivamente si ammalò di peste e prima di morire confessò ciò che gli era stato rivelato. Il 9 giugno del 1625, l’urna costruita apposta per le reliquie, fu portata in processione con la partecipazione di tutta la popolazione e con grande solennità; la peste cominciò a regredire e il 15 luglio quando si fece il pellegrinaggio sul Monte Pellegrino, nell’anniversario del ritrovamento delle reliquie, non comparve più nessun caso di appestato.
Il cardinale fece costruire nella cattedrale un magnifico altare, dove venne sistemata la fastosa urna d’argento massiccio con le reliquie della santa, il cui nome fu per tradizione interpretato come composto da ‘rosa’ e ‘lilia’, rosa e gigli, simboli di purezza e di unione mistica; per questo la ‘Santuzza’ è rappresentata con il capo cinto di rose.
Da quel 1625 il culto fu autorizzato e rinverdito dalla Chiesa palermitana per la vergine eremita orante e contemplante sul Monte Pellegrino, quale testimonianza di eccezionale ascesi cristiana, che nei secoli non è stato mai dimenticata dal popolo palermitano. Da 350 anni i pellegrini salgono sul monte, definito da Goethe nel suo ‘Viaggio in Italia’, il promontorio più bello del mondo.
Si saliva a piedi faticosamente, finché il Senato palermitano fece costruire nel 1725 un’ardita strada fra pini ed eucalipti. Palermo ha sempre onorato s. Rosalia, secondo le due festività stabilite nel 1630 da papa Urbano VIII, che le inserì nel ‘Martirologio Romano’, cioè il 15 luglio anniversario del ritrovamento delle reliquie e il 4 settembre giorno della morte della ‘Santuzza’; le feste specie quella di luglio durano una settimana, con la partecipazione di tutto il popolo e di tanti emigranti che ritornano per l’occasione.
La statua della ‘Santuzza’ circondata da altre statue, troneggia sulla cima della cosiddetta ‘macchina’ che è un carro a forma di nave, sul quale vi è anche una banda musicale, che viene trasportato per la città, il tutto viene chiamato “U Fistinu”.
La seconda festa del 4 settembre si svolge come un pellegrinaggio al santuario sul Monte Pellegrino, dove conglobando la grotta, si costruì un Santuario, la cui pittoresca facciata risale al XVII secolo, all’interno si sono accumulate tante opere d’arte dei vari secoli successivi; una parte è ancora a cielo aperto, le pareti sono coperte di ex voto e lapidi lasciate da illustri visitatori.
Una cancellata divide questa prima parte del santuario, dalla grotta nella quale sono presenti altari e opere d’arte singolari, che ricordano la presenza della santa; di fronte al luogo dove furono trovate le reliquie della ‘Santuzza’ sorge lo stupendo altare coperto da un baldacchino, con un sontuoso tabernacolo sormontato da una statua d’argento della santa, donati dal Senato di Palermo nel 1667. Sotto l’altare si venera la statua del 1625, che rappresenta s. Rosalia giacente in atto di esalare l’ultimo respiro e che fu rivestita d’oro per disposizione del re Carlo III di Borbone (1716-1788).
Alla grotta sul monte, insieme agli anonimi pellegrini, salirono a venerare la santa eremita, anche tanti illustri visitatori; autorità ecclesiastiche, principi, re, imperatori, letterati, poeti, musicisti, artisti.
Le reliquie deposte nell’artistica e massiccia urna d’argento, sono conservate nel Duomo di Palermo.
Di Antonio Borrelli