Nacque nei primi decenni del III secolo a Catania in una ricca e nobile famiglia di fede cristiana. Verso i 15 anni volle consacrarsi a Dio. Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e le impose il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla, se ne invaghì, e in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, quindi ordinò che la portassero al Palazzo pretorio.
I tentativi di seduzione da parte del proconsole non ebbero alcun risultato. Furioso, l’uomo imbastì un processo contro di lei. Interrogata e torturata Agata resisteva nella sua fede: Quinziano al colmo del furore le fece anche strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie. Ma la giovane, dopo una visione, fu guarita. Fu ordinato allora che venisse bruciata, ma un forte terremoto evitò l’esecuzione. Il proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo. Era il 251. (Avvenire)
Patronato: Pompieri, Catania, Repubblica di San Marino
Etimologia: Agata = buona, virtuosa, dal greco
Emblema: Giglio, Palma, Pinze, Seni (su di un piatto)
Martirologio Romano: Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore.
Sant’Agata il cui nome in greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà del III secolo, alcuni reperti archeologici risalenti a pochi decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5 febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque nei primi decenni del III secolo (235?) a Catania; la Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
Nel mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla, abbigliamento che lascia supporre che fosse diventata diaconessa.
Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla e se ne incapricciò, e in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.
Qui subentrano varie tradizioni popolari, che indicano Agata che scappa per non farsi arrestare e si rifugia in posti indicati dalla tradizione, in una contrada poco distante da Catania, Galermo, oppure a Malta, oppure a Palermo; ma comunque ella viene catturata e condotta da Quinziano.
Il proconsole quando la vede davanti viene conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza ferma della giovane Agata.
Egli allora mette in atto un programma di rieducazione della ragazza affidandola ad una cortigiana di facili costumi di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo.
Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegna a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente muore bruciata, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine, allora il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora s. Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.
L’ultima volta che il suo patrocinio si è rivelato valido, tramite il miracoloso velo, portato in processione dall’arcivescovo di Catania, è stata nel 1886, quando una delle ricorrenti eruzioni dell’Etna, minacciava la cittadina di Nicolosi, posta sulle pendici del vulcano e che venne risparmiata dalla distruzione.
Nel 1040 le reliquie della santa, furono trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le trasportò a Costantinopoli; ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale Gilberto ed il pugliese Goselmo, le riportarono a Catania dopo un’apparizione della stessa santa, che indicava la buona riuscita dell’impresa; la nave approdò la notte del 7 agosto ad Aci Castello, tutti i catanesi risvegliatisi e rivestitisi alla meglio, accorsero ad onorare la “Santaituzza”.
Nei secoli le manifestazioni popolari legate al culto della santa, richiamavano gli antichi riti precristiani alla dea Iside, per questo s. Agata con il simbolismo delle mammelle tagliate e poi risanate, assume una possibile trasfigurazione cristiana del culto di Iside, la benefica Gran Madre, anche se era appena una quindicenne.
Ciò spiegherebbe anche il patronato di s. Agata sui costruttori di campane, perché si sa, nei culti precristiani la campana era simbolo del grembo della Mater Magna. Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea, opera di celebri artisti catanesi; vi è anche il busto argenteo della “Santaituzza”, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone.
Il culto per s. Agata fu talmente grande, che fino al XVI secolo, essa era contesa come appartenenza anche da Palermo, la questione è stata a lungo discussa, finché a Palermo il culto per la santa, fu soppiantato da quello per s. Rosalia. Anche a Roma fu molto venerata, papa Simmaco (498-514) eresse in suo onore una basilica sulla Via Aurelia e un’altra le fu dedicata da S. Gregorio Magno nel 593.
Nel XIII secolo nella sola diocesi di Milano si contavano ben 26 chiese a lei intitolate. Celebrazioni e ricorrenze per la sua festa avvengono un po’ in tutta Italia, perfino a San Marino, ma è Catania il centro più folcloristico e religioso del suo culto, le feste sono due il 5 febbraio e il 17 agosto, con caratteristiche processioni con il prezioso busto della santa, custodito nel Duomo.
Vi sono undici Corporazioni di mestieri tradizionali, che sfilano in processione con le cosiddette ‘Candelore’ fantasiose sculture verticali in legno, con scomparti dove sono scolpiti gli episodi salienti della vita di s. Agata. Il busto argenteo, preceduto dalle ‘Candelore’ è posto a sua volta sul “fercolo”, una macchina trainata con due lunghe e robuste funi, da centinaia di giovani vestiti dal caratteristico ‘sacco’.
Tante altre manifestazioni popolari e folcloristiche, oggi non più in uso, accompagnavano nei tempi trascorsi questi festeggiamenti, a cui partecipava tutto il popolo con le Autorità di Catania, devotissimo alla sua ‘Santaituzza’.
Autore: Antonio Borrelli
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