Efrem ci consegna un quadro molto importante della Chiesa orientale del IV secolo, una comunità cristiana costretta a vivere tra l’impero di Roma (prima accanito persecutore della fede cristiana, poi convertito superficialmente alla fede in Gesù Cristo) e il suo nemico di sempre: la Persia. La vita del Diacono Efrem testimonia una Chiesa viva e capace di produrre in lingua siriaca opere importanti caratterizzate da un’attenzione del tutto particolare per la liturgia e la figura di Maria che rendono le opere di Efrem ancora molto apprezzate.
Fu autore prolifico. Nei suoi testi emerge con evidenza la sua capacità di declinare il piano teologico e dottrinale con la poetica. In qualità di predicatore, capì l’importanza della musica e della poesia come strumenti per difendere l’ortodossia della fede cristiana.
Pur non coinvolto direttamente nelle dispute teologiche del IV secolo (per alcuni, tuttavia, appena battezzato seguì il vescovo Giacomo nel 325 al I Concilio Ecumenico celebrato a Nicea), fece sua e perfezionò la pedagogia chi, invece, fu protagonista di quella stagione così tormentata. Ario, i Padri Cappadoci, Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano e soprattutto Bardesane, gnostico che predicava ad Edessa, si servivano delle poesie e degli inni per diffondere il loro pensiero teologico.
Le opere di Efrem, in prosa come in poesia, siano esse le Omelie oppure gli Inni non rimasero confinate negli scaffali della biblioteca che arricchiva la scuola di teologia di Giacomo di Nisibi: divennero liturgia esse stesse. Lo attestarono Basilio di Cesarea, che incontrò verso il 370, e Girolamo di Stridone che riporta nel suo De viris illustribus “che in certe Chiese, dopo la lettura della Bibbia, si leggevano pubblicamente le sue opere” (CXV). Non meraviglia che tra i titoli a lui attribuiti si trovi “arpa [cetra] dello Spirito Santo” per i meriti acquisiti soprattutto nei Carmina nisibena.
Efrem si distinse sempre per il servizio che rese alla Chiesa non solo in campo liturgico e teologico. Negli ultimi anni della sua vita organizzò gli aiuti umanitari resi indispensabili dalla grave carestia che aveva colpito la zona di Edessa: la sua autorevolezza fu garanzia di un’equa distribuzione dei viveri e dei soccorsi alle popolazioni colpite.
Dichiarato Dottore della Chiesa da Benedetto XV nel 1920.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Santi e Beati
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