Categorie: Caritas et Veritas

I topolini della fata. Sai che Cenerentola parla di solitudine, emarginazione, prova, fata e principe…

La storia di Cenerentola indica a tutti, ragazzi e maestri, un percorso di generosità, scandito in cinque passaggi: la solitudine, l’emarginazione, la prova, la fata, il principe…

È soprattutto a questi studenti che io mi rivolgo, certo che solo dal confronto leale si cresce tutti insieme. Si cresce insieme, educando i cuori a mete sempre più belle. Questo lo scopo della scuola, questo la meta di quest’anno.

C’erano infatti due amici, che coltivavano rose, in due giardini vicini.

Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza, incantato dal profumo delle rose.

Il secondo invece tagliava le rose più belle e le donava ai passanti. “Ma che fai?” – lo rimproverava il primo – “Come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose, coltivate con tanto amore?”. “Le rose lasciano un profumo intensissimo sulle mani di chi le regala”, fu la risposta pacata ed inattesa del secondo!

Due stili di vita: coltivare per sé o far crescere per la gioia degli altri? Trattenere o donare? Stringere la mano nell’egoismo o aprirla nella generosità? Tu, quale strada scegli?

Per aiutarvi a rispondere a queste domande decisive, vi racconto una storia di generosità, di dono, di vita condivisa. Lo faccio tramite una fiaba, bella e da tutti conosciuta.

È la fiaba di CENERENTOLA, che vi narro per poi discuterla insieme. Non vi stupisca che un Vescovo si fermi a parlare di fiabe. Ritengo infatti che, nell’arte educativa, le leggende siano state create proprio per poter comunicare i grandi valori della Vita. Tramite Cenerentola desidero perciò comunicarvi un percorso di generosità, perché anche le vostre mani sappiano di un profumo così intenso che nessuna lacrima possa cancellare.

La storia di CENERENTOLA è la storia di una grande solitudine nel cuore di una ragazza (ma vale anche per i ragazzi!) per la perdita della mamma. Il papà si risposa portando purtroppo in casa una matrigna cattiva e due sorellastre invidiose e superbe.

La solitudine di questa figlia si fa più acuta, trattata come una serva, costretta ai lavori più umili, esclusa e cacciata fuori, vicino al focolare, accanto alla cenere. Cenerentola, appunto, sarà d’ora in poi il suo nome, per indicare una creatura destinata all’emarginazione dalla cattiveria degli altri. Ma un giorno il Principe, che cerca una bella ragazza con cui dialogare per costruire insieme una vera storia d’amore, invita tutte le ragazze del suo regno ad un ballo fantastico. Le due sorellastre sono le prime, tra mille attese ed emozioni. Fanno di tutto per apparire belle, con abiti lussuosi e capelli intrecciati. Desiderano emergere, ai danni di Cenerentola, che non viene invitata. Anzi, resta a casa a pulire. E scoppia in lacrime, un pianto irrefrenabile, perché dimenticata e non invitata da nessuno.

Ma c’è sempre una risposta alle lacrime! Le viene in aiuto la fata, la sua madrina che ha seguito questa fragile creatura fin da bambina, dopo la morte della sua bellissima mamma. Le asciuga il pianto, la incoraggia e, per permettere anche a lei di partecipare al ballo, trasforma le sue povere cose. Una zucca diventa una splendida carrozza, i topolini si fanno cavalli, le lucertole del giardino sono trasformate in cocchieri che la guidano. Ed i suoi abiti da stracci si fanno bellissimi, degni di una regina, con un paio di scarpette in-cantate.

Così anche Cenerentola partecipa al ballo. Ma con un limite preciso: dovrà rientrare entro mezzanotte. Assolutamente. Un limite invalicabile, assoluto! Sappiamo come sono andate le cose. Cenerentola attirò subito il cuore del principe, danzò con lui, tra l’invidia di tutte le altre. L’ultima era diventata la prima. Ma a mezzanotte, eccola ritornare frettolosa a casa, ubbidiente al rintocco del campanile. La stessa scena il giorno dopo, ma questa volta nel fuggire verso casa allo scoccare della mezzanotte perde la famosa scarpetta. Tutti a cercare di chi sia, ma solo il suo piedino potrà calzarla. E’ il segno di riconoscimento, la traccia che sempre lascia chi sa amare fino in fondo. E lo sposo la riconosce, tra lo stupore di tutti. Il segreto è svelato, tutto è trasformato. Le sorelle le chiedono perdono e la gioia entra per sempre nel cuore di Cenerentola, che vive giorni di luce e di bellezza inattesa. Scompare l’invidia e regna la speranza, per tutti, e non solo per Cenerentola, che ospita anzi le sue sorellastre a palazzo! Le lacrime sono asciugate e il profumo della rosa donata dura per sempre.

Una storia sempre bella. Attualissima, del resto. Si presta a diverse interpretazioni, come tutte le storie. Rifiuto le interpretazioni semplicistiche di una ragazza che fa carriera, da sola, toccata dalla sorte, vincendo la cattiveria altrui. Sento invece che è una storia che ci insegna come educare nelle suole e nelle famiglie. Indica a tutti, ragazzi e maestri, un percorso di generosità, scandito in cinque passaggi: la solitudine, l’emarginazione, la prova, la fata, il principe.

Li commento uno ad uno, invitandovi a discuterli in classe e parlarne a casa. Ancora più bello se potremo dibatterli insieme, nelle vostre scuole, da voi stessi invitato….

 

La solitudine

È la prima grande amarezza nel cuore di ogni giovane e di ogni ragazzo o bambino. Perdere la mamma. Assistere ad un litigio dei genitori. Non averli più vicini entrambi, per la loro separazione matrimoniale. Oppure, non riuscire ad andare più d’accordo con loro, con continui scontri. La fiaba parte dalla solitudine.

La solitudine ha dei segni ben precisi sui nostri volti: tristezza, chiusura, televisione a tavola, falsa sicurezza, sogni strani, un look ricercatissimo per farsi notare, pezzi di diario o di temi con messaggi mirati.

Tristi sono le conseguenze della solitudine. Tanti fatti negativi di questo periodo nascono proprio da storie di solitudine. Perché è brutto sentirsi soli. Lo sento nel mio cuore di vescovo, come talvolta lo scorgo nella vita dei miei preti e lo vedo nell’animo di molti genitori. Ma soprattutto negli occhi di tanti ragazzi e bambini.

Né basta una solitudine intrecciata con un’altra, per vincere la propria solitudine. E non è sufficiente nemmeno rifugiarsi in un gruppo per superarla. Anzi…!

Occorre invece accettare la propria storia, così com’è! E dentro questa storia, riuscire a maturare una strada di donazione. Solo uscendo da sé si supera la solitudine.

“La porta della felicità si apre solo verso l’esterno. Chi invece la tira verso se stesso, rischia di chiuderla sempre più, restando sempre più infelice”- annota uno psichiatra moderno. Per aprire questa porta, sappiate dialogare con i vostri docenti e genitori, cui auguro uno sguardo, ma uno sguardo che richiede profondità, tempo, tanto ascolto, molta chiarezza, rari interventi in questa fase. Tu, però, non ti rifugiare nella tua solitudine. Non ti cullare nella melanconia. Apri invece la mano, spingi quella porta e dona la rosa.

Prega e medita.

 

L’emarginazione

Nella vita di Cenerentola, invece di una vera mamma, entra una matrigna e due sorellastre superbe ed invidiose. Il rimedio è peggiore del male, le ferite della solitudine aumentano. La sua storia, da ragazza marginale, si trasforma in una drammatica storia di emarginazione. Il suo nome, Cenerentola, deriva proprio da questa cenere con la quale si confonde! Come tanti di noi, come tanti momenti tristi della nostra vita.

In un certo senso, come la storia della nostra stessa terra, la Calabria, che viene con superficialità paragonata proprio ad una Cenerentola.

Si intrecciano ora due atteggiamenti: l’invidia, da una parte e, dall’altra, come amara conseguenza, l’emarginazione. Due realtà che troviamo sempre insieme, perché dove c’è invidia e superbia, c’è sempre emarginazione ed esclusione. L’invidia è presente nel cuore di tutti noi. Inutile negarlo. La sentiamo dentro, rode i nostri cuori come una carie. Mia mamma dice che “l’invidia rode l’animo, come la ruggine rode il ferro!”. Ma diverso è sentirla, diverso è coltivarla. Se la coltivi, ti distrugge ogni cosa bella.

Fa apparire tutto triste. Come una sola goccia di veleno in una brocca di limpida acqua. Tutto sciupato. Il bel voto di un compagno di classe è fonte di dispiacere.

La casa nuova dell’amico ti fa soffrire…

A livello sociale, poi, Corrado Alvaro diceva che “l’invidia è il peccato mortale dei poveri”. Non è ovviamente solo dei poveri essere invidiosi. Ma nelle zone più povere essa produce conseguenze ancora più terribili. Tante iniziative in Calabria non vanno avanti, non perché manchino i soldi. Tanto meno mancano risorse o intelligenze. Anzi! Purtroppo ci mettiamo l’uno contro l’altro, invidiosi del progresso del vicino, gelosi della sua gioia. Senza capire che solo crescendo insieme, cresceremo tutti.

Se cresci tu, cresco anch’io! Non il contrario!

Qual è l’antidoto a questo veleno? Prima di tutto non diffondere il veleno della mormorazione tra i tuoi amici. Non sparlare degli altri, specie se assenti. Non cercare complici alla tua cattiveria. Poi sappi apprezzare e stimare. La stima è il vero antidoto all’invidia. Sappi apprezzare, dire “grazie”, collaborare per una iniziativa, anche se non sei tu a promuoverla. Anche se la lode poi va ad un altro! Lo stesso! Infine, opponi all’invidia l’emulazione. L’invidia distrugge, l’emulazione incoraggia, perché fa entrare nel mio cuore la forza dell’esempio dell’altro. Lo rincorro non per superarlo, ma per vincere insieme il giro. Guido il gruppo, anche in politica, non per arricchirmi, ma per creare le condizioni per la gioia di tutti. L’emulazione sta in questo slogan: “Impegnarsi, non per essere il primo, ma per permettere all’amico di esserlo!”. È lo stile di Gesù, che lava i piedi ai discepoli!Sempre “rivoluzionario”. Questo sia lo stile nelle vostre classi. Questo lo stile della politica nei nostri paesi! Di conseguenza, quante storie di emarginazione ci sono anche oggi tra di noi. Con forme più raffinate, ma non meno tristi. Avviene quando non parli più con la mamma e la lasci sola. Quando non rivolgi più la parola ad un amico e lo lasci fuori dal giro. Niente più telefonate, un saluto vuoto, nessuno al suo compleanno. Oppure, provate a leggere la storia di tanti immigrati che vengono a lavorare nelle nostre case, ad assistere i nostri nonni. Li trattiamo come le sorellastre trattavano Cenerentola? Li sottoponiamo con durezza ai lavori più umili? Forse abbiamo dimenticato le storie di umiliazione subite dalle genti di Calabria…!?!

Una domanda aperta: Si nasce o si diventa cattivi? E perché?

La prova

Il ballo con il principe, per le ragazze del regno, momento atteso ed emozionante, può essere interpretato come il momento della prova, della verifica, dell’esame. L’opportunità di un concorso risolutivo. C’è chi invitato, c’è chi è escluso. Le sorelle ci vanno, Cenerentola resta fuori gioco, esclusa. Nessuna la pensa. E scoppia in lacrime, amarissime. Perché vede che tutti gli altri vanno avanti, mentre a lei nessuno guarda. Un’amarezza che vedo in molti ragazzi di Calabria: tanti concorsi, ma tutti a vuoto. Le altre file si svuotano, tu resti sempre in coda. Mai un grazie dalla vita, mai un cenno di stima e di riconoscenza. Nessuno ti pensa. Quante lacrime vedo versare dai nostri ragazzi e ragazze di Calabria! Silenziose spesso, ma non meno tristi. Ecco perché ho scelto questa storia. Non è una favola, ma una tragica realtà.

Eppure…! Eppure Cenerentola mantiene la sua dignità. Non si svende, non sceglie scorciatoie pericolose, non scende a compromessi indegni! Piange sì, ma con speranza.

La fata

È la parte centrale della fiaba, dove ben si evidenzia il ruolo educativo della famiglia e della scuola e della parrocchia. La fata ci dice che c’è sempre qualcuno che ti asciuga le lacrime. Che c’è un Dio che ascolta ed interviene. Che c’è una soluzione per ogni problema. “Come, mi dirai, se mi giro attorno e vedo tante amarezze?!”

Eppure intravedo un metodo educativo nello stile di intervento della fata.

Fatto di tre passaggi, tutti preziosi per ogni ragazzo, e per ogni educatore. Facciamo prima di tutto una fondamentale distinzione tra la fata e il mago.

Nelle leggende, il ruolo del mago e il ruolo della fata è diversissimo e va ben distinto, per non interpretare in modo errato la storia.

• Il mago risolve tutto da solo, in modo magico, senza che tu intervenga. È la raccomandazione pura e semplice, l’intervento esterno che trasforma una brutta vicenda in una situazione apparentemente pulita. La storia è cambiata dal mago, ma tu resti sporco, dentro! Il mago è l’assistenzialismo dei nostri paesi, che non suscita iniziative. Il mago è il finto amico che ti dice: “Non ti preoccupare, ci penso a tutto io…fai come io ti…”. E poi ti trovi inguaiato, incapace di risolvere i tuoi problemi.

• La fata, invece, agisce in modo diverso. Non fa tutto da sola, non ti toglie la responsabilità. Ma ti promuove, ti aiuta indicandoti la strada giusta sulla quale ti accompagna rafforzando le energie che già possiedi. Non annulla quel poco che hai, ma lo sa trasformare in una realtà migliore. Ha bisogno di te, però, per cambiare la tua storia. La fata nei nostri paesi è l’iniziativa economica ben calcolata, legata alla realtà locali, attuata proprio con le risorse del territorio!

Come agisce allora la fata? Dicevamo in tre modi.

1. Prima di tutto incoraggia e dona fiducia. Con parola giuste, con gesti chiari e forti, con segni belli e puliti. Ti asciuga le lacrime. Ti senti dentro una forza nuova, una fonte viva di speranza che pensavi ormai secca e sterile.

2. Poi la fata ti fa scoprire risorse che pensavi di non avere. La fata parla a Cenerentola ed ecco che il poco di questa fanciulla diventa prezioso e bello: una zucca diventa carrozza, i topolini si fanno cavalli, gli animaletti domestici diventano suoi veri amici, il suo abito di stracci diventa bello come il sole, tempestato di perle, che non sono altro che le sue lacrime trasformate. E le sue scarpette luminose saranno la sua salvezza. Spesso in Calabria e nel cuore vostro, carissimi ragazzi e ragazze, c’è un tesoro, che forse nemmeno voi stessi conoscete. Talvolta ci troviamo ad esaltare altre zone d’Italia e a disprezzare la nostra realtà, amiamo poco la nostra terra, poco ne conosciamo la storia e le potenzialità, non sappiamo valorizzarla adeguatamente, non riusciamo a scoprire quanto valiamo.

3. La fata è la famiglia, la scuola, la parrocchia quando sanno compiere questo miracolo di scoperta, valorizzazione e trasformazione delle vostre risorse, quando vi aiutano a cambiare la vostra vita. Il cammino educativo, infatti, deve aiutare ognuno di voi, tramite il confronto con altre realtà e altre persone, a dire: “Dunque si può cambiare…!” Ma subito dopo dovete sentir dire dagli adulti: “Tu solo puoi farcela, ma non puoi farcela da solo!”. Allora sentirete, carissimi giovani e ragazzi, che vicino a ciascuno di voi c’è una “fata”, che vi accompagna e trasforma la vostra storia. Del resto, proprio questo era lo stile di Gesù. Capiva il cuore di ciascuno, ogni piccola cosa sapeva valorizzare, dava a tutti una rinnovata forza interiore di cambiamento. Il Vangelo chiede sempre molto, ma molto di più restituisce, con una fiducia crescente! Ma anche tu, non smettere mai di sognare, di guardarti dentro, di avere stima di te e del tuo paese. Valorizza tutto, studia ogni cosa. Non dire mai: “Ma questo, a che serve? Che mi importa di studiare quella materia?…!”.

La fata però non è miracolistica, come dicevamo. Perché impone a Cenerentola un limite preciso, invalicabile: tornare a mezzanotte. Il mago non impone limiti, perché illude per poi deludere. La fata invece è leale e sincera, conosce bene il cuore, chiede delle risposte, pone delle condizioni. Anche tu ti trovi di fronte a dei limiti precisi che la vita ti pone. A cominciare dai genitori assillanti, dai fratellini più piccoli che ti pressano. Dagli amici che ti sfidano. Dai voti della scuola, che condizionano ma maturano. Una questione aperta è l’orario del Sabato sera, che va spesso ben oltre la mezzanotte! Chiedetevi: “perché il sabato sera è diventato così importante nella vita di un giovane? È rifugio o fuga? Ogni limite condiziona, ma è anche inattesa risorsa. Ma come trasformare i limiti in risorsa? I limiti nella vita sembrano spezzare il sogno. In realtà lo custodiscono. Come la castità e il rispetto della verginità. Sembrano limiti assurdi, limiti imposti dal di fuori, da una società impaurita dai tabù. Sono invece degli scrigni, entro cui custodire i tesori più belli. L’amore non va mai banalizzato! Il rispetto dell’altro è grandezza. Amare vuol dire custodire. Anche la nostra Terra esige il rispetto di certi limiti: non inquinarla, non incendiare, non sprecare mai l’acqua, salvaguardare il creato, amare il lavoro, tener pulita la vostra aula, rispettare le piante, anzi, piantare nuovi alberi nel giardino della scuola… o nelle colline vicine.

Ai vostri genitori ed educatori, auguro dunque la stessa attenzione della fata: incoraggiare, avere e dare sempre tanta fiducia, asciugando tante lacrime saper valorizzare ogni frammento di bene e di bello, che c’è nel cuore di ogni ragazzo e nel solco di ogni terra e di ogni cultura, trasformandolo in inedita grandezza

Il principe

È ogni ragazzo che sa dialogare e vuol incontrare seriamente e gioiosamente la sua ragazza. Che sa aprire il suo castello, cioè il suo cuore, che ha fiducia, che non teme il confronto, che sa osare. Costruisce così il suo dialogo d’amore per passi progressivi. Prima di tutto, sa costruire scelte di amicizia vera. Supera le invidie, gestisce il suo cuore, è generoso e leale. Senza amicizia non ci sarà amore.

Senza amicizia, non c’è società giusta.

Poi sa scegliere. Fa del suo amico l’unico al mondo. Non per disprezzare, ma per prendere posizione. Intuisce e va avanti. Con fiducia in se stesso e negli altri. Insegue la “scarpetta”, cioè insegue i segni che l’amore lascia sempre. Senza scoraggiarsi, senza stanchezze. L’amore lascia sempre le sue tracce. Che solo chi ama veramente scopre e riconosce, come la pietruzza bianca dell’Apocalisse (Ap. 2,17), che ha inscritto un nome che solo chi la riceve con amore sa riconoscere. Sono i Valori in cui credi, che hai fatto tuoi, che aderiscono a te, nei quali ti ritrovi e ti ritrovi con chi ami, in una sintonia che calza perfettamente. Li ritrovi, anche quando ti sembra di averli persi. Perché senti che certe cose non hanno tempo né hanno prezzo. Come l’amore nelle coppie in crisi. Come i genitori che sembrano aver perso la loro scarpetta, lungo gli scaloni della vita. Cui rivolgo un pressante invito perché si rimettano di nuovo a cercare, a vedere, a provare! Con fiducia instancabile e tenace!

Come si conclude questa storia?

È bello vedere che la felicità di Cenerentola si fa piena non quando abbraccia il principe ma quando accoglie, tra le lacrime, il perdono sincero delle sorelle. L’avevano tanto disprezzata. Ora riconoscono la sua reale grandezza e valore. E Cenerentola nei loro confronti non manifesta nessun segno di vendetta. Anzi, si fa solo accoglienza e gioia comune. Perché ha ritrovato veramente lo scopo della sua vita. Anzi, quelle lacrime, ora asciugate, si sono fatte preziose. Ha imparato dal suo soffrire. Ha fatto tesoro di quei giorni tristi. E ritrova tutte le sue lacrime nelle perle del suo bellissimo vestito. Anch’esse corredo di fiducia. Anzi, il suo più bel corredo!

Grazie per avermi ascoltato, carissimo giovane o ragazzo delle nostre scuole. Grazie ai docenti che vorranno discutere insieme questo messaggio. Sappiate che l’ho tanto a lungo pensato e meditato. Bello se vi sarà utile, per credere sempre nella Vita e per sentire sempre vicina la mano paterna e materna di un Dio che in Gesù Cristo sa trasformare l’afflizione in consolazione,  nella gioia di tutti, per un profumo che non finirà mai, perché frutto di dono gratuito.

Link utili:
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