I vescovi indonesiani chiudono gli spiragli alla legge sull’aborto

NESSUNA POSSIBILITÀ – La Conferenza episcopale si è espressa pubblicamente contro la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza nei casi di violenza sessuale e di rischio immediato per la madre. Nei casi di violenza si chiede “sostegno morale” e vicinanza alle vittime, nei gesti e con la compassione, affinché possano “riacquistare una loro vita, normale e felice”. Ribadita la scomunica automatica.

Una nota ufficiale della Conferenza episcopale indonesiana riafferma i principi della morale cattolica in tema di aborto e denuncia il tentativo del Governo di legalizzare la pratica per alcune “cause particolarmente significative”, nei casi di gravidanza frutto di violenza sessuale o di rischio immediato per la vita della madre.
La proposta di legge governativa sull’aborto. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef – pubblicato in occasione dei 25 anni della firma della Convenzione sui diritti dei bambini – nel Sud nell’Asia, dove una ragazza su due si sposa prima dei 18 anni e un milione di neonati muoiono ogni anno, troppe bambine non vengono mai alla luce. Un fenomeno assai diffuso è la selezione di genere, che spinge i genitori ad abortire nel caso si tratti di un feto femminile. In Indonesia si sta discutendo, da alcuni mesi, una proposta di legge governativa che intende legalizzare la pratica per alcune “cause particolarmente significative”, cioè nei casi estremi di gravidanza frutto di violenza sessuale o di rischio immediato per la vita della madre. Nel Paese, la pratica dell’aborto è considerata illegittima e illegale. Qualsiasi forma di interruzione della vita, fin dal suo concepimento, viene punita dal codice: tanto i medici, quanto i pazienti sono sottoposti a indagine giudiziaria. A dispetto di quanto prevede la legge, gli aborti sono praticati in gran segreto e per le ragioni più varie: gravidanze indesiderate, frutto di rapporti extra-coniugali o di relazioni fra giovanissimi, in seguito a violenze sessuali o perché il feto presenta “difetti fisici” di varia natura. Non vi è, però, una casistica certa perché nella maggior parte dei casi queste pratiche abortive sono eseguite all’interno di “comunità” chiuse e limitate.
La posizione dei vescovi. Contro il progetto di legge sulla cosiddetta salute riproduttiva, si è espressa nei giorni scorsi – dopo mesi di discussioni e confronti fra sacerdoti, comunità dei fedeli, teologi e filosofi della morale – la Conferenza episcopale indonesiana, con una nota ufficiale firmata dal presidente, Kwi mons. Ignatius Suharyo e dal segretario generale, mons. Johannes Pujasumarta. Come ha riferito Asia News, i vescovi si sono rivolti alla comunità cattolica, in particolare ai medici e alle operatrici sanitarie, ricordando il valore supremo della vita umana, “che va difesa con forza – hanno affermato – di fronte agli attacchi di cui è vittima”. Le disposizioni che si vorrebbero introdurre, hanno aggiunto, “sono figlie di presunte idee illuministe e si traducono in palesi violazioni del diritto supremo di nascere che è insito in ciascun feto. Del resto, ai tempi della guerra in Bosnia, Giovanni Paolo II a più riprese ha esortato le donne vittime di stupri a non abortire. “I vostri figli – ricordò il Pontefice – non sono responsabili dell’ignobile violenza che avete subito. Non sono loro gli aggressori”.
Chi pratica l’aborto è automaticamente scomunicato. I vescovi hanno ribadito “il diritto alla vita di ogni essere umano”, sottolineando che “la vita va difesa e protetta perché frutto della creazione divina. Solo Dio ha il potere e la legittimazione per disporre della vita di un essere umano. Gli uomini non hanno il diritto di porre fine alla vita e come ricorda il libro dell’Esodo essi non dovranno uccidere. E questa difesa della vita inizia fin dal concepimento, all’interno del ventre materno”. Sulle disabilità fisiche e le malattie, i vescovi hanno precisato che “non riducono la dignità” della vita umana; ecco perché l’aborto per disabilità fisiche “non è secondo morale e va respinto con forza”. Vi è poi il caso di gravidanze frutto di violenze sessuali, che sono di per sé causa di “traumi” nella vita “delle vittime”. I vescovi chiedono al riguardo “sostegno morale” e vicinanza alle vittime, nei gesti e con la compassione, affinché possano “riacquistare una loro vita, normale e felice”. Ma questa legittima aspirazione, avvertono, non può certo passare attraverso l’atto di mettere “fine” a una nuova vita; “esso va difeso e protetto” e, secondo quanto prevede il Diritto Canonico – concludono i vescovi – chi si macchia del crimine dell’aborto è “automaticamente scomunicato”.  di Umberto Sirio per Agensir

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